I Paesi che si affacciano sul Mediterraneo mostrano un quadro più grigio per quanto riguarda lo scenario economico e occupazionale.

E’ quello che emerge dall’undicesimo Rapporto dell’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza, realizzato da Demos&Pi e Fondazione Unipolis per indagare il tema della percezione sociale della sicurezza. Questa edizione dello studio si concentra in particolare sullo scenario economico e occupazionale sulla base di due rilevazioni demoscopiche. La prima[1], realizzata in Italia, si propone di ricostruire i trend di lungo periodo della sicurezza tra i cittadini. La seconda[2], che coinvolge oltre al nostro Paese, Francia, Germania, Regno Unito, Olanda e Ungheria, costituisce un approfondimento sul tema del lavoro con comparazione internazionale.

In Italia l’insicurezza globale, definita da questioni quali “ambiente e natura”, “sicurezza alimentare”, “guerre” e “globalizzazione”, preoccupa 3 persone su 4 e rappresenta la principale paura (75%). Al secondo posto troviamo l’incertezza economica che inquieta ben oltre metà dei cittadini (62%). Infine, la criminalità – soprattutto “organizzata” – che preoccupa quasi 4 persone su 10 (38%, con una rilevanza sensibilmente inferiore rispetto alle due precedenti). L’insicurezza assoluta (26%) però, che somma le tre principali insicurezze (globale, economica e legata alla criminalità), si attenua di tre punti rispetto al 2017, una contrazione lieve, ma significativa perché va a confermare un trend già emerso negli anni precedenti e oggi fa registrare il valore più basso dopo il picco del 2012. Si assiste a una sorta di “normalizzazione” emotiva. Perché “l’incertezza” è “certamente” profonda, diffusa presso la popolazione di tutti i Paesi. In misura chiaramente diversa. Ma ha raggiunto, ormai, misure e caratteri noti.

Dati interessanti emergono indagando il tema dell’insicurezza economica, con il 62% degli italiani che affermano di sentirsi frequentemente preoccupati di perdere la solidità delle certezze legate agli aspetti economici della quotidianità e, in particolare, hanno paura di non avere o perdere la pensione (37%), di non avere abbastanza soldi per vivere (36%) e di perdere il lavoro (34%). L’incertezza economica colpisce soprattutto le fasce di età intermedia, il cui livello di preoccupazione si attesta intorno al 70% (contro il 62% della media). Se si prende in considerazione il profilo professionale, il sentimento di preoccupazione tocca i massimi livelli tra gli operai e le casalinghe (81%), oltre ai disoccupati (76%). In questo scenario, è interessante analizzare la percezione della propria collocazione di classe degli italiani: il sentirsi parte del ceto medio non è certo tornato ai valori pre-crisi (60%), ma nel 2019 ha recuperato al 50%.

L’economia è anche il tema che il 41% degli italiani colloca in cima alla lista dei problemi da affrontare nel proprio paese, seguita dall’inefficienza e dalla corruzione politica (22%), quindi dall’immigrazione (11%). Il dato sull’immigrazione è in linea con la media dei sei paesi considerati nell’indagine europea, ma comunque lontano dal dato tedesco, dove il 20% delle persone indica proprio l’immigrazione come priorità.

Per la prima volta nell’ambito del Rapporto sulla Sicurezza è stata realizzata un’inchiesta campionaria in sei Paesi europei dedicata al tema del lavoro, delle sue trasformazioni e delle insicurezze generate nella società. Da una lettura dei dati emerge una distinzione Nord-Sud, con i Paesi mediterranei, Italia e Francia, insieme all’Ungheria, caratterizzati da indici di insicurezza maggiori rispetto agli altri. Anche se in Ungheria, su alcune questioni, come la crescita delle opportunità di lavoro per i   giovani, la percezione risulta positiva. Viceversa in Germania, Gran Bretagna e Olanda si riscontrano un livello più elevato di soddisfazione economica in materia di opportunità di lavoro.

In Italia, Francia e Ungheria il grado di soddisfazione per le performance economiche coinvolge una parte minoritaria della popolazione: 36% in Ungheria, poco meno del 30% in Italia e Francia. Si sale al 48% nel Regno Unito e si supera la quota di sei persone su dieci in Germania (61%) e Olanda (67%). Francia e Italia sono accomunate, inoltre, dalla percezione di un trend negativo, negli ultimi cinque anni, su specifici aspetti che caratterizzano il mondo del lavoro: i giudizi più critici riguardano le opportunità di lavoro, il guadagno medio, la meritocrazia nelle carriere e l’occupazione giovanile. Comune a tutti i Paesi è invece una visione negativa sul futuro dei giovani: solo una piccola minoranza immagina che la posizione sociale delle nuove generazioni possa migliorare rispetto al passato. In particolare, in Italia in pochissimi (7%) se la sentono di scommettere sulla ripartenza dell’ascensore sociale-generazionale. L’insicurezza si riduce e si restringe quando si allargano le relazioni “personali”, i legami di vicinato, quando si va oltre il “social” e si entra nel “sociale”.

La rilevazione mette poi in risalto un’altra frattura interna al mercato del lavoro legata al modo in cui gli intervistati descrivono la propria condizione: le posizioni “garantite” – quelle coincidenti con un lavoro stabile (o percepito come tale) – e le altre forme più intermittenti, atipiche di occupazione. A questo proposito è interessante che in Italia, come in Olanda e Germania, si registrino le percentuali più alte – superiori al 50% – di coloro che si sentono garantiti. Tra chi non si percepisce stabile c’è però un’ulteriore linea di divisione tra chi descrive il proprio lavoro come flessibile e chi invece lo vede come temporaneo/precario. I primi vivono la propria condizione con minore apprensione e ritengono di disporre di strumenti adeguati.

In quattro Paesi su sei, con l’eccezione di Italia (49%) e Ungheria (44%), la maggioranza assoluta del campione sembra sposare il principio della flexsecurity: ritiene, cioè, che la flessibilità possa costituire una opportunità per i lavoratori e le imprese, ma che debba essere associata a maggiori diritti e misure di protezione. Coloro che si definiscono flessibili toccano il massimo livello in Germania (29%) e Ungheria (28%), mentre si fermano al 13% in Italia, dove prevale il secondo gruppo di lavoratori atipici, temporanei o precari, ad eccezione che per i giovani in linea con i dati europei.

Dall’incrocio tra la percezione in merito all’adeguatezza delle proprie competenze per affrontare il mondo del lavoro e il grado di soddisfazione delle opportunità di lavoro, sono il 27% in Italia coloro che ritengono la propria preparazione all’altezza del mercato del lavoro, che vedono come ricco di opportunità. Tra questi sono in misura superiore alla media gli uomini, nelle fasce di età inferiore ai 45 anni e tra le persone con titolo di studio universitario, spesso impiegati in posizioni intellettuali. In generale, essi emergono come i meno preoccupati di fronte ai fenomeni connessi alla globalizzazione e all’introduzione delle nuove tecnologie. È significativo registrare come sia soprattutto questo gruppo a invocare misure finalizzate a rendere più difficili i licenziamenti (47%).

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[1] Realizzata attraverso un sondaggio svolto, nel periodo 7-15 Gennaio 2019, su un campione di 1.603 persone, rappresentativo della popolazione italiana di età superiore ai 15 anni, per genere, età e zona geopolitica.

[2] Realizzata attraverso un sondaggio svolto, nel periodo 22-26 gennaio 2019, su un campione di 6.340 persone di sei Paesi europei (Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Olanda e Ungheria) rappresentativo della popolazione di età superiore ai 15 anni.

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