DI FIORELLA CIPOLLETTA

Negli ultimi 20 anni le perdite economiche causate da catastrofi climatiche hanno visto un aumento del 151%, secondo un recente rapporto pubblicato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per la riduzione dei rischi di catastrofi. Tra il 1998 e il 2017, tre paesi europei si collocano tra i primi dieci per perdite economiche complessive dovute a tempeste, inondazioni e terremoti: la Francia, con 48,3 miliardi di dollari; la Germania, con 57,9 miliardi; e l’Italia, con 56,6 miliardi di dollari. Allo scorso Festival dello Sviluppo Sostenibile di Roma, il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco aveva sottolineato che con l’aumento delle temperature «l’Italia sarà la nazione europea più esposta ai danni legati all’esondazione dei fiumi e che il progressivo aumento delle temperature potrebbe influire in modo permanente sulle capacità produttive del paese». Un tema caldo, quello legato alle problematiche del cambiamento climatico, che trascende i confini della climatologia e ha contagiato anche il convegno annuale di Anra, l’Associazione nazionale dei risk manager e dei responsabili assicurazioni aziendali.

I dati dello studio realizzato da Protiviti e Anra sulla diffusione dell’enterprise risk management nelle aziende fotografa un Paese in prima linea nell’introduzione di programmi di Erm, seppure siano «ancora poche le aziende che hanno saputo integrarlo efficacemente con i processi chiave», ha sottolineato il presidente Anra Alessandro De Felice. «In questo, l’Italia è un esempio virtuoso: oltre il 45% delle nostre imprese presenta un sistema Erm con un elevato livello di maturità, contro il 37% di media dell’intero campione». Il processo di gestione dei rischi e
delle opportunità connesse al cambiamento climatico interessa molti settori economici, e sempre più spesso metterà alla prova le capacità del settore energetico, idrico, agroalimentare, assicurativo, turistico e dei trasporti. Secondo i principali scenari climatologici, il nostro Paese potrebbe essere la nazione europea più esposta ai danni legati all’esondazione dei fiumi. Questo perché il Mediterraneo, e in particolare l’Italia, costituisce quello che in gergo si definisce un hot spot, ovvero un’area che risulta molto sensibile ed esposta ai cambiamenti climatici. «Il Mediterraneo sta rispondendo al global warming molto rapidamente rispetto agli anni passati», conferma Serena Giacomin, meteorologa Meteo Expert, climatologa e presidente dell’Italian Climate Network. «Un mare più caldo, di conseguenza, è in grado di trasferire più energia all’atmosfera e indurre precipitazioni intense con un impatto più pesante sul territorio. L’Italia risente particolarmente della sua posizione: si sta scaldando più velocemente rispetto al riscaldamento globale. La velocità di crescita della temperatura media a livello globale è di 0,16 gradi centigradi per decennio. In Italia è di 0,30 gradi centigradi». La sfida contro il cambiamento climatico coinvolge tutti, pubblico e privato, e la corretta gestione del rischio è fondamentale. È necessario disegnare da subito i possibili scenari futuri in modo da mettere in atto forme di resilienza e mitigazione di eventuali pericoli. «Vivere nel rischio significa saltare da uno strapiombo e costruirsi le ali mentre si precipita», scriveva Ray Bradbury, autore di Fahrenheit 451, alla fine del ’900. «Una metafora efficace che racconta il cuore della nostra professione», ha commentato il Presidente Anra. Ovvero affiancare chi sceglie di non restare a guardare le occasioni dall’alto ma di coglierle, affrontando un coraggioso salto nel vuoto, perché questo significa, oggi, fare impresa». (riproduzione riservata)

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