I migliori money manager nei primi nove mesi dell’anno hanno registrato performance del 20 e anche 30%. Il primato spetta a un azionario specializzato sulla borsa cinese. E anche con i bond c’è chi ha guadagnato il 14%
di Nicola Carosielli

Da oltre un anno la guerra commerciale tra Usa e Cina sta suscitando negli esperti interrogativi che non sempre trovano risposte. La volatilità del mercato ha mietuto molte vittime e fatto rifugiare tanti investitori nel mercato obbligazionario, con la nota ondata di tassi negativi. Inoltre, da inizio anno i listini continuano a viaggiare in territorio positivo, ma la loro performance negli ultimi tre mesi ha segno meno. A Wall Street l’indice S&P500 (+16,84% da inizio anno) è in calo di oltre il 2%, il Nasdaq, che viaggia in rialzo del 19,42% da gennaio, ha lasciato sul terreno il 2,91% da luglio. Le cose non vanno meglio neanche in Europa dove il Ftse Mib ha virato in negativo cedendo 2,54% (+16,94% da inizio 2019). Eppure nel complesso i fondi sono riusciti a cavalcare il mercato, con i migliori money manager che hanno superato di gran lunga gli indici di riferimento. Una cavalcata condita da quel giusto pizzico di ironia della sorte che ha visto trionfare nella classifica assoluta realizzata da MF-Milano Finanza (sui dati Fida) un fondo esposto su azioni cinesi e gestito da un asset manager statunitense (vedere intervista in pagina). In generale, però, la classifica assoluta rappresenta quasi alla perfezione cosa è accaduto in questi ultimi nove mesi nell’universo degli investitori. Un mercato bifronte capace di premiare contemporaneamente chi ha giocato in difesa, scommettendo sull’oro, e chi ha optato per una strategia offensiva, puntando sulle asset class cinesi e tecnologiche.
Chi più di tutti ha beneficiato della scommessa tech, ad esempio, è stato Columbia Threadneedle e il suo fondo TLux Global Technology DU Eur, che da inizio anno ha generato un rendimento del 37,19% (+64,6% quello a tre anni). Una performance costantemente adeguata ai venti del dialogo sino-americano con sistematiche rimodulazioni del portafoglio soprattutto dopo l’ingresso di Huawei nella blacklist americana, uno tra gli eventi più rappresentativi della tech war tra Washington e Pechino. Come ha spiegato il portfolio manager del TLux Global Technology, Paul Wick, «quando l’amministrazione Trump ha bloccato tutte le società statunitensi dall’esportare qualsiasi tecnologia a Huawei, il più grande fornitore al mondo di cablaggi e apparecchiature wireless, nonché la seconda più grande azienda di telefoni cellulari a livello globale, con una quota di mercato tra il 3 e il 5% della domanda globale di semiconduttori, l’industria elettronica è stata gettata nel caos dall’oggi al domani, facendo precipitare i corsi azionari delle società di circuiti integrati in generale, ma soprattutto di quelli che intrattengono rapporti commerciali con Huawei». Così il fondo ha dovuto ridurre la sua ponderazione sui semiconduttori «nel corso dei tre mesi fino alla fine di maggio, abbandonando completamente le posizioni in Intel (prima dell previsioni su un aumento delle azioni), Microchip Technology, Tokyo Electron e Lattice Semiconductor e riducendo le posizioni in Lam Research, Maxim Integrated Products, Inphi, Lumentum, Qorvo e Broadcom».
Non solo Cina, non solo tech. Perché a confermare la propria forza è anche l’equity a stelle strisce, soprattutto su aziende a bassa capitalizzazione. Il migliore in questa asset class è stato il T. Rowe Us Smaller Companies Equity A Eur, che ha generato rendimenti del 34,01%. La sfida però è alle porte perché, come ha spiegato il gestore Curt Organt, «un po’ di influenza da parte di un’economia più debole è inevitabile». Però, ha precisato Organt, «le small-cap tendono a essere più orientate al mercato domestico, quindi in generale più isolate dai trend globali rispetto alle grandi società, senza contare che la guerra offre anche l’opportunità a certe aziende Usa di riempire spazi precedentemente occupati da quelle cinesi».
La bravura di questi gestori non può, però, essere distaccata dalla liquidità iniettata dalle Banche Centrali che finora ha sorretto il più possibile i mercati finanziari e l’economia. E questo il mercato, per la sua insita capacità di anticipare gli eventi, lo sa. Tanto che proprio ora sembrano affiorare tutte le paure che questa tattica sia ormai non più sufficiente. Anche perché, ad esempio, gli effetti sui dazi dovranno ancora mostrare tutto il loro impatto sul pil. Anche per questo motivo gli investitori devono essere vigili e attenti a cogliere qualsiasi campanello d’allarme. E valutare concretamente qualsiasi mossa difensivista. «Nel caso in cui l’andamento del ciclo economico mondiale non dovesse continuare a essere positivo, preludendo quindi all’arrivo di una recessione a livello internazionale, è possibile che si registri una correzione del mercato nell’ordine del 10-15%», ha spiegato Paolo Rizzo, partner di Anthilia Sgr. Forse proprio per la capacità di anticipare una strategia difensivista, quindi, il momento dell’oro potrebbe proseguire, se non aumentare.
Il migliore in assoluto nei primi nove mesi è stato il fondo di Franklin Templeton, Franklin Gold and Precious Metals A Eur, riuscito a registrare un rendimento del 39,58%, iniziando a recuperare le perdite precedenti. Guardando il rendimento a 3 anni, infatti, questo è negativo per il 14%, dicendola lunga sulla fase che sta vivendo la commodity. Come spiegato da Steve Land, VP portfolio manager di Franklin Templeton, «molte società aurifere sono ben posizionate per sopravvivere se dovesse verificarsi un periodo di prezzi deboli e tuttavia offrono un potenziale di rialzo significativo se i prezzi aumentano. La maggior parte delle compagnie minerarie ha continuato a concentrarsi sul miglioramento della struttura dei costi operativi, sul rimborso del debito e sulla razionalizzazione degli asset, che riteniamo debba tradursi in un miglioramento del potenziale di prestazioni in futuro». Speranze che potrebbero continuare anche tra gli obbligazionari, soprattutto tra i più difensivi come quelli a ritorno assoluto e i diversificati prudenti, con rendimenti nei nove mesi tra il 33 e l’11%. (riproduzione riservata)

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