Intanto si pensa all’estensione a startup e non quotate
Pagina a cura di Tancredi Cerne

Pir a crescita lenta. Ma il rilancio potrebbe essere dietro l’angolo. Lasciata alle spalle l’euforia che aveva accolto lo sbarco in Italia dei Piani individuali di risparmio (Pir), istituiti con la legge di stabilità del 2017, la prova del secondo anno ha mostrato un deciso raffreddamento di interesse da parte degli investitori. In parte dovuto a un calo fisiologico di appeal, dopo il boom del 2017. E in parte legato a doppio filo all’incertezza economica sulle sorti dell’economia tricolore. I risultati sono contenuti nella ricognizione condotta da Assogestioni sui dati del primo semestre dell’anno.

Il 2017 si era chiuso con oltre 800 mila italiani che avevano aderito a questa forma di risparmio e con 15,7 miliardi di masse gestite (compresi i 4,8 miliardi di euro che arrivavano da fondi già attivi e poi trasformati in Pir)», hanno spiegato gli esperti di Assogestioni. «Nei primi sei mesi di quest’anno sono stati raccolti ulteriori 3,4 miliardi di euro arrivando a superare i 18,56 miliardi di patrimonio in gestione da parte di 70 fondi attivi oggi in Italia». Numeri di tutto rispetto che fanno dei Pir un importante strumento di finanziamento per le piccole e medie imprese, oltre che di risparmio per le famiglie italiane. Tanto che il loro nome è comparso anche all’interno del Documento programmatico di bilancio per il prossimo anno tra le misure messe in campo dal governo per stimolare la crescita economica favorendo, allo stesso tempo, il risparmio delle famiglie. In particolare, tra le righe del documento presentato dal ministro dell’economia, Giovanni Tria, figura la volontà di «estendere i Piani individuali di risparmio alle start-up e alle imprese non quotate» allargando così la platea dei possibili beneficiari del finanziamento privato all’economia.

«I Pir rappresentano la risposta alla duplice sfida che ha impegnato l’industria del risparmio gestito fin dai primi anni Novanta», hanno continuato gli esperti di Assogestioni. «Da un lato, quella di spingere le famiglie verso scelte di investimento di lungo termine, più razionali ed efficienti in contesti di estrema volatilità dei mercati finanziari. Dall’altro, quella di consentire alle Pmi italiane, spina dorsale dell’economia del paese, di finanziarsi attraverso un canale alternativo a quello bancario». Entrando nello specifico dei dati di Assogestioni, il re incontrastato dei Pir è rappresentato dal Gruppo Mediolanum, forte di un patrimonio promosso di poco inferiore ai 4 miliardi di euro (21% dell’intero mercato), tallonato dal Gruppo Intesa Sanpaolo (3,6 miliardi di euro e una quota di mercato del 19,5%). Sul gradino più basso del podio, Amundi Group che, grazie ai suoi sei fondi aperti Pir, detiene un patrimonio di poco superiore ai 3 miliardi di euro che equivalgono al 16,3% dell’intero mercato italiano. Ma come funzionano questi Piani individuali di risparmio? Innanzitutto, ogni Piano deve essere costituito per almeno il 70% da investimenti destinati a strumenti finanziari emessi da imprese italiane (o europee ma con una stabile organizzazione in Italia). Di questo 70%, almeno il 30% deve essere composto da strumenti emessi da società non comprese all’interno di indici a elevata capitalizzazione come il Ftse Mib. I Pir così costituiti posso essere sottoscritti solamente da risparmiatori (persone fisiche) con residenza fiscale in Italia che non possono essere titolari di più di un Pir alla volta. Sul fronte degli investimenti, inoltre, ogni persona ha la possibilità di investire fino a 30 mila euro l’anno fino ad arrivare a un importo massimo di 150 mila euro. Tutto ciò, a fronte di importanti benefici di carattere fiscale e non. Mantenendo il Pir per almeno 5 anni si ha diritto, infatti, a beneficiare dell’azzeramento del prelievo fiscale sul capital gain. Mentre in caso di decesso del titolare del Pir il trasferimento degli strumenti che compongono il piano non è soggetto all’imposta di successione.

«I Pir sono un ottimo ed efficace strumento di diversificazione e riteniamo che possa essere interessante sviluppare ulteriori strumenti di investimento dedicati alle Pmi, dal momento che queste ultime hanno il bisogno di avere investitori specializzati per sostenere la loro crescita», hanno sottolineato gli esperti di Equita sim, prevedendo un patrimonio dei fondi Pir in forte crescita per gli anni a venire fino a raggiungere quota 34,2 miliardi nel 2021.
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