Salgono al 39% le famiglie che riescono ad accantonare. Il 62% resta sui conti correnti, ma aumenta la quota di chi investe (il 33%) scegliendo soprattutto gli strumenti finanziari più sicuri, come titoli di Stato e polizze vita. Cresce l’appeal del mattone
di Anna Messia

Aumenta il numero degli italiani che riescono a risparmiare. La liquidità sui conti correnti resta l’impiego preferito, ma è salito il numero di chi sceglie di investire in strumenti finanziari, guardando prevalentemente a quelli considerati più sicuri, come i titoli di Stato o le polizze Vita. Pure gli immobili tornano un po’ a salire nelle preferenze, anche se siamo ancora decisamente lontani dal boom di gradimento del 2004. È questa la fotografia scattata sul risparmio degli italiani da Ipsos come di consueto alla vigilia della Giornata Mondiale del Risparmio, organizzata dall’Acri, che si terrà oggi a Roma con la partecipazione del presidente dell’associazione che rappresenta le Fondazioni, Giuseppe Guzzetti, del presidente di Abi Antonio Patuelli, del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e il ministro dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria. Dal sondaggio, giunto alla diciottesima edizione, e presentato ieri dal presidente di Ipsos, Nando Pagnoncelli, risulta che è aumentato al 39% la percentuale degli italiani che sono riusciti a risparmiare negli ultimi 12 mesi, rispetto al 37% del 2017 e al minimo del 28% che era stato toccato nel 2012. Non solo.

Le famiglie che hanno risparmiato nell’ultimo anno e lo faranno ancora di più o nella stessa misura anche nei prossimi 12 mesi ha raggiunto il 29%, il dato più elevato della serie storica della rilevazione di Ipsos. Mentre la quota di chi ha dovuto fare ricorso ai risparmi accumulati per affrontare le spese è scesa al 14% dal 16% dello scorso anno e dal 25% del 2012. Ma non tutto è roseo. Quest’anno c’è stato infatti un aumento al 24% in numero delle famiglie che dichiarano di essere state colpite direttamente dalla crisi nell’ambito lavorativo, contro il 19% nel 2017. La fase di incertezza resta quindi evidente, ma gli italiani sembrano consapevoli degli elementi di miglioramento rispetto al passato e sperano in una situazione più positiva per il futuro, anche se in maggioranza ritengono che la crisi durerà ancora qualche anno. Più positivi risultano i giovani fino ai 30 anni nel centro sud, molto meno i 31-44enni del nord est, per i quali si registra un calo di fiducia. In questo contesto la tensione al risparmio rimane molto forte, con segnali di ulteriore rafforzamento, soprattutto in un’ottica cautelativa. L’aumento del risparmio lordo delle famiglie, in crescita del 18% rispetto allo stesso periodo del 2017, è riscontrato anche dall’Istat, che rileva lo stock e non il numero dei risparmiatori, osservano da Ipsos. Numeri che confermano che il risparmio degli italiani è consistente e in crescita, ma questo non vuol dire che sarebbero disposti ad aderire a piani di sostengo al bilancio pubblico, come quello ipotizzato nei giorni scorsi del capo economista della Bundesbank, Karsten Wendorff, che aveva lanciato l’idea della creazione di un fondo nazionale in cui far confluire il 20% del risparmio privato per stabilizzare le finanze pubbliche attraverso una sottoscrizione forzosa di titoli di Stato di solidarietà. A una domanda su una possibile chiamata in campo del risparmio privato per il sostegno dei conti pubblici Guzzetti ha sottolineato il fatto che se è vero da una parte che l’alfabetizzazione finanziaria degli italiani sembra essere molto bassa dall’altra sono però allo stesso tempo ben consapevoli «di non voler mettere al rischio i propri risparmi quando sanno che contribuiranno alla spesa e ai consumi e non agli investimenti e allo sviluppo».

Tornando alla fotografia scattata da Ipsos emerge che la percentuale degli italiani che tiene liquidi i propri risparmi è pari al 62%, in discesa rispetto al 67% degli ultimi due anni mentre sale al 33% la percentuale di chi investe, rispetto al 29% del 2017. Gli immobili tornano al poi 32% delle preferenze, in costante aumento dal 2014 (24%), ma ancora decisamente distanti rispetto al 70% dei gradimenti toccati nel 2004 e del 2006.
Gli italiani sono diventati poi più europeisti e due su tre (il 66%) sono contro l’ipotesi di un’uscita dall’Unione Europea. Le prospettive dell’Italia «sembrano fortemente legate all’Europa: se da una parte è forte la delusione per i progressi del processo di unificazione europea (il 53% ha una bassa fiducia), dall’altra ancor più che in passato si ritiene fondamentale la scelta europeista». Tanto che il 66% degli intervistati è contro ogni ipotesi di uscita, in crescita rispetto al 61% del 2017. Mentre chi vuole uscire scende dal 17% al 14%. Allo stesso tempo, aggiunge l’Acri, sempre più italiani sono convinti che in una prospettiva di medio periodo rimanere nell’euro sia la scelta più idonea: il 56% ritiene che sarà un vantaggio, contro il 29% che preferirebbe non avere l’euro in futuro. (riproduzione riservata)

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