L’avvio dei Conti Individuali di Risparmio che investono in Btp rischia di togliere ossigeno ai fondi comuni legati ai Piani. I quali puntano sulle pmi e finora hanno raccolto 18,5 mld di euro. Ecco che cosa offrono i due prodotti
di Roberta Castellarin e Paola Valentini

Cir e Pir possono coesistere e prosperare entrambi? Si profila una concorrenza agguerrita tra questi due strumenti che, a parte il nome, sono molto diversi tra loro per quanto riguarda l’oggetto dei loro investimenti, anche se entrambi guardano al risparmio degli italiani che è sicuramente ampio ma non illimitato.
Con il lancio dei Conti individuali di risparmio (Cir ) «cercheremo di raccogliere 15 miliardi da investire», ha detto Armando Siri, sottosegretario leghista del Ministero dei trasporti, aggiungendo che «i Cir sono indirizzati alle famiglie italiane, che possono investire fino a 3 mila euro in Btp e in cambio ricevono un azzeramento della tassazione sulla cedola e un’agevolazione fiscale». Tutti elementi che li rendono molto attraenti agli occhi dei risparmiatori italiani, da sempre affezionati all’idea di investire in titoli di Stato.
Ma il rischio è che questi strumenti distolgano le risorse ai Pir, i Piani di risparmio esentasse partiti a inizio 2017 e varati dal precedente governo Gentiloni. Il viceministro dell’Economia, il leghista Massimo Garavaglia, ha detto che con i Cir il governo Conte punta a ottenere molto più dei 18,6 miliardi raccolti dai Pir. I quali, sottolinea lo stesso Garavaglia, hanno avuto un successo enorme sul piano della raccolta, «ma un po’ meno su quello degli impieghi».

A quasi due anni dal loro debutto, il mercato conta 70 fondi comuni legati ai Pir (dati Assogestioni a fine giugno 2018). Creati per convogliare il risparmio delle famiglie italiane verso l’economia reale, «i pir rappresentano la risposta alla duplice sfida che ha impegnato l’industria del risparmio gestito fin dai primi anni novanta. Da un lato, quella di spingere le famiglie verso scelte di investimento di lungo termine, più razionali ed efficienti in contesti di estrema volatilità dei mercati finanziari. Dall’altro, quella di consentire alle pmi italiane, spina dorsale dell’economia del Paese, di finanziarsi attraverso un canale alternativo a quello bancario», spiega Assogestioni, che da anni auspicava l’avvio di strumenti del genere.

Nell’aprile 2009 l’associazione l’idea di una misura fiscale per l’allocazione della ricchezza finanziaria degli italiani già sotto il nome di Pir. Che hanno subito avuto un boom di sottoscrizioni: lo scorso anno 10,9 miliardi di euro sono confluiti nei fondi Pir da parte oltre 800 mila italiani e «per più di 500 mila risparmiatori si tratta del primo investimento della loro vita in fondi comuni», rileva Assogestioni. L’anno si è chiuso con masse per 15,7 miliardi (compresi i 4,8 miliardi di masse che arrivavano da fondi già attivi prima del 2017 e poi trasformati in Pir).
E alla fine del primo semestre 2018 il patrimonio totale è salito ancora, come si accennava, a 18,6 miliardi, grazie a una raccolta che resta solida (3,34 miliardi), anche se in rallentamento sul 2017. Una decelerazione causata dalla volatilità dei mercati che ha preso di mira proprio Piazza Affari, che dovrebbe essere il focus dei Pir. I piani di risparmio garantiscono l’esenzione fiscale sui capital gain a patto di investire almeno il 70% in strumenti finanziari di aziende italiane o europee e di questa quota un minimo del 30% deve andare a d aziende non quotate nel Ftse Mib che ospita le grandi capitalizzazioni.

È invece improbabile che, al momento, ci siano stati riscatti dato che l’esenzione fiscale vale se i pir sono detenuti per almeno cinque anni. Anzi, proprio questo potrebbe essere il momento per entrare sul mercato di Piazza Affari dati i forti ribassi di borsa. D’altronde i rendimenti da inizio anno dei fondi Pir (esclusi quelli lanciati nel 2018) sono tutti con il segno negativo. Il comparto che ha perso meno da gennaio è Financiere Echiquier Rinascimento con una performance da inizio anno del -0,21% che a un anno diventa del -1.85%. Mentre fanalino di coda è Zenit Multi Strategy Stock Picking (-13,33% da inizio anno).
Chi comprasse ora questi comparti avrebbe quindi un prezzo della quota con uno sconto rispetto a un anno fa, mentre per chi li ha già sottoscritti nuovi versamenti permetterebbero di mediare il prezzo di ingresso iniziale. In Banca Mediolanum , ad esempio, il 40% della raccolta sui pir è fatta proprio tramite gli investimenti a rate sul modello dei piani di accumulo. Non a caso, sottolinea Intermonte Sim, «nonostante l’aumento della volatilità abbia scoraggiato alcune sottoscrizioni, diversi fattori dovrebbero continuare a sostenere i flussi quest’anno e nei prossimi: innanzitutto alcune reti hanno iniziato solo di recente a collocare i Pir, in secondo luogo un certo numero di coloro che hanno investito l’anno scorso hanno scelto la formula del piano di accumulo». Intermonte Sim stima che fino al 2021 i Pir avranno totalizzato flussi per 38 miliardi, circa il doppio rispetto a quanto fatto in questi primi 18 mesi.

Ma c’è chi chiede una messa a punto. «I Pir sono un ottimo ed efficace strumento di diversificazione e riteniamo anche che possa essere interessante sviluppare ulteriori strumenti di investimento dedicati alle pmi, dal momento che queste ultime hanno il bisogno di avere investitori specializzati per sostenere la loro crescita», sottolinea Equita Sim che prevede un patrimonio dei fondi Pir a quota 34,2 miliardi nel 2021. Si attende quindi che una massa quindi notevole di risorse prenderà la strada dei Pir. Ma l’entrata in scena di uno strumento a forte appeal come quello dei Cir potrebbe avere un effetto di frenata sui Piani di risparmio esentasse. Il loro obiettivo è aumentare il peso dei titoli di Stato italiani in mano ai privati, oggi al 5%. Le risorse raccolte saranno impiegate per progetti sulle infrastrutture, per tenere sotto controllo lo spread dato che oggi un terzo del debito pubblico tricolore è detenuto da soggetti esteri.
Per attirare i risparmiatori, anche i Cir , al pari dei Pir, hanno una fiscalità agevolata. Oggetto dell’investimento dei Cir saranno titoli di Stato emessi ad hoc dal Tesoro italiano, acquistati in emissione e tenuti fino a scadenza (pena la perdita dei benefici). Avranno rendimenti allineati al mercato, ma rispetto ai normali Btp avranno una marcia in più. Infatti i titolari godranno della non imponibilità dei rendimenti e della deduzione del 23% delle cifra investita (massimo 3 mila euro all’anno e fino a 90 mila euro complessivi in più anni). I Cir non saranno inoltre soggetti a imposte di donazione e successione (a patto di vincolare le somme per almeno 18 mesi), né saranno aggredibili dai creditori. Inoltre i Btp nei Cir non possono essere prestati o dati in garanzia per operazioni di pronto contro termine o similari. Se il risparmiatore ha bisogno di liquidità, la banca o l’intermediario custode del Cir può concedere credito all’investitore costituendo pegno sul conto, in una misura pari al 50% del valore del conto a tassi calmierati. Il Cir può essere aperto solo da banche o operatori finanziari autorizzati da Banca d’Italia o Consob, e il costo per la tenuta del relativo dossier, prevede la bozza, sarà fissato per legge in un massimo dello 0,15% del valore del conto, per prevenire l’erosione del vantaggio fiscale a causa di commissioni eccessive.
Come viene protetto il risparmiatore all’atto dell’apertura di un Cir ? Segue le norme Mifid per la tutela dei risparmiatori. Oltre alla versione ordinaria, sono previsti anche gli junior Cir , intestabili a un minore, che consentono di prelevare solo gli interessi fino alla maggiore età, salvo grave bisogno del ragazzo. Allo studio anche un Cir lavoro dipendente e un Cir Tfr. Nel primo caso il conto è costituito dal lavoratore dipendente e alimentato con i bonus erogati dal datore di lavoro. Mentre nel secondo la raccolta avviene conferendo il tfr, come nei fondi pensione.

E anche per gli altri profili il Cir Tfr ricalca il meccanismo della previdenza integrativa: la liquidazione degli importi avviene al momento della pensione (e non prima di 18 mesi dall’investimento), e, al pari di quanto avviene per le prestazioni erogate dai fondi pensione, la tassazione dei capitali ottenuti è del 15% riducibile fino al 9% in base al periodo di intestazione del Cir , con la possibilità di effettuare prelievi anticipati in determinati casi, ad esempio per affrontare spese sanitarie. Proprio i vantaggi fiscali dei Cir li mettono in competizione (non soltanto con i fondi pensione e con gli altri strumenti di risparmio tassati con aliquota del 26%), ma anche con i Pir, col rischio di decretare la fine di questi ultimi e quindi di un importante canale di finanziamento alle pmi.

«Nella realtà il denaro dei Pir non è finito alle imprese non quotate, ma soprattutto a quelle quotate, anche su mercati non regolamentati, se non addirittura esteri. Del resto i Pir sono fondi comuni, poco propensi quindi a investire in titoli illiquidi, anche se la legge glielo consentirebbe», sottolinea Assosim. Secondo le stime di Intermonte, soltanto 2,2 miliardi, ovvero il 21% della raccolta 2017 dei Pir, è andata alle azioni di pmi, cui si aggiungono 400 milioni sui loro bond. «Per superare la questione basterebbe una modifica alla normativa che imponga ai Pir di investire almeno il 60% del patrimonio nelle pmi», aggiunge Assosim. In alternativa sarebbe utile il ricorso a fondi chiusi, meno sensibili ai trend di mercato. (riproduzione riservata)

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