di Carlo Valentini

Annacquare la legge Fornero sulle pensioni significa giocare col fuoco. È il risultato di una ricerca di Prometeia, la società di studi economici e finanziari presieduta da Angelo Tantazzi. Se da un lato non si può disconoscere il legittimo desiderio di approdare alla pensione alla stessa età delle passate generazioni, dall’altra vi è il positivo allungamento della vita che rende impossibile l’equilibrio del sistema a tali condizioni col rischio di mandare in frantumi l’intero assetto del bilancio pubblico.
È un grido d’allarme quello lanciato dai ricercatori di Prometeia: «La sostenibilità fiscale garantita dalle precedenti riforme pensionistiche sta lentamente venendo meno di fronte alle previsioni demografiche e macroeconomiche. Non si mette a rischio solo la sostenibilità finanziaria del sistema ma anche i benefici dei pensionati. Basti pensare che la spesa per la previdenza è passata dal 9% del bilancio pubblico del 1980 al 37,3% del 2017».

Nonostante ciò il peso della previdenza sulle tasche dei lavoratori è notevole: in media il 33% della remunerazione, se ne va in contributi. Dal 1980 a oggi la quota della spesa pensionistica sul prodotto interno lordo è quasi raddoppiata, dal 9% al 15,4%”. Si pagano le conseguenze delle politiche allegre degli anni 80 e 90, quando l’età pensionabile effettiva era tra le più basse del mondo. I nodi, oggi, stanno venendo al pettine. E quindi il governo gialloverde deve fare attenzione a non ripetere quell’errore, cioè di imbarcarsi in provvedimenti dal sapore elettoralistico che in futuro presenterebbero un altro conto in aggiunta a quello odierno già salato.

In Italia si spende più che nel resto d’Europa: il 3,1% in più sul pil rispetto alla media degli altri Paesi. Solo la Grecia ci supera. Ma dopo le recenti misure di risanamento del governo greco e, al contrario, l’aumento di spesa previsto nella manovra finanziaria del governo italiano per allentare la riforma firmata da Elsa Fornero, la Grecia ci lascerà, soli, nello scomodo primo posto a buttare soldi in un buco nero pensionistico diventato una palla al piede (anche per taluni privilegi che non vengono affrontati) per lo sviluppo del Paese.
A incidere su questa situazione è anche il calo della natalità. Per molteplici ragioni (a cominciare dalla mancanza di servizi per l’infanzia) le nascite sono in crisi, con la conseguenza che siamo il popolo col più alto numero di ultrasessantenni: 28,4% della popolazione rispetto al 25,6% della media europea.
Un dato destinato ad aggravarsi poiché tra il 2017 e il 2023 il numero degli over 65 aumenterà di un milione mentre la popolazione in età di lavoro si ridurrà di 400mila unità.
C’è da mettere in conto pure che l’ammontare della pensione è, oggi, in Italia (in media) del 78,4% di quanto si guadagnava sul lavoro rispetto al 76,3% della Francia e al 55,4% della Germania. Commentano gli autori della ricerca, Michele Catalano, Lucia Cossaro, Carlo Mazzaferro, Emilia Pezzolla: «L’adeguatezza delle pensioni dipende in modo cruciale dalla salute macroeconomica di un Paese, infatti i sistemi pensionistici ridistribuiscono parte del prodotto nazionale dai giovani agli anziani. Pertanto migliore è la performance macroeconomica, più elevati saranno i benefici pensionistici.

Poiché l’Italia esce dal decennio della crisi (2008-2018) col segno negativo (-0,5%) del pil, che si aggiunge alle prospettive d’invecchiamento demografico e alla bassa crescita economica, si prevede che la spesa pensionistica raggiungerà il 17% del pil nel 2040 nonostante una discesa dei benefici ai pensionati dal 5% al 20%”.
Molti economisti critici della quota 100 sottolineano che nel corso di questa legislatura si completerà il pensionamento del baby boomer, cioè i nati tra il 1946 e il 1956, un esercito di nuovi pensionati che è pericoloso rendere più numeroso con una possibilità di anticipo nell’uscita dal lavoro.
Tra l’altro si è tanto parlato delle pensioni d’oro ma al di là di arginare talune abnormi regalie, di fronte al ginepraio di ricorsi vi sarebbe un risparmio di appena 500 milioni che significa 10 euro al mese in più sulle pensioni minime.
Secondo Prometeia: «Una combinazione di un’età pensionabile più elevata e un aumento dei livelli occupazionali potrebbero fare molto per migliorare la sostenibilità e i benefici previdenziali».
Peccato che i segnali della politica vadano in tutt’altra direzione (non a caso anche il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha lanciato l’allarme) con l’immissione di varchi di uscita dal lavoro (senza per altro distinguere i tipi di lavoro) che snaturano il rigore della legge Fornero e con l’elargizione di sussidi di varia natura che disperdono risorse invece che finalizzarle alla creazione di posti di lavoro.

Grande assente, non a caso, è la pensione integrativa. Ancora poco conosciuta e poco praticata (anche perché è un ulteriore onere a carico del lavoratore). Su questo argomento Prometeia ha realizzato un’indagine (1367 intervistati) insieme a State Street Global Advisor. Per la maggior parte degli interpellati i costi rappresentano il principale ostacolo alla sottoscrizione dei fondi pensione complementari, benché le commissioni siano meno di un quarto di quelle dei fondi comuni.
Anche il 70% delle famiglie ritiene di non avere informazioni sufficienti sulle pensioni integrative. Il risultato è uno scarso ricorso ad esse (rappresentano il 9,6% del pil, una delle percentuali più basse dell’Ocse) nonostante l’81% degli interpellati ritenga che la propria pensione futura non sarà soddisfacente. In effetti gli economisti prevedono che il 65% dei giovani occupati dipendenti di oggi in Italia (tra i 24 e i 35 anni di età), avrà una pensione sotto i mille euro, pur con avanzamenti di carriera medi assimilabili a quelli delle generazioni che li hanno preceduti.
Intanto il Centro studi e ricerche previdenziali ha presentato il suo quinto rapporto: la spesa pensionistica ha raggiunto i 218 miliardi di euro, mentre le entrate contributive sono 196 miliardi, con un saldo negativo quindi di 22 miliardi. I pensionati sono 16 milioni e il rapporto attivi/pensionati è di 1,4.

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