Il Def prevede l’introduzione di quota 100. Una simulazione di Progetica permette di individuare, in base all’anno di nascita, a quale età si potrà lasciare il lavoro se saranno confermate le nuove ipotesi (compresa la quota 41)
di Roberta Castellarin e Paola Valentini

Un lavoratore nato nel 1960 che abbia iniziato a lavorare a 22 anni potrà andare in pensione a 62 invece che aspettare i 65 anni e 7 mesi. Ossia potrà dire addio al lavoro quasi 4 anni prima. Ancora meglio va a un coetaneo che abbia iniziato a lavorare a 24 anni; in questo caso andare in pensione a 62 anni vuol dire anticipare di 5 anni e sei mesi rispetto alle regole attuali, con le quali dovrebbe aspettare i 67 anni e 8 mesi. È quanto emerge da una prima simulazione elaborata dalla società di consulenza indipendente Progetica sulla base dell’ipotesi che venga prevista quota 100 con 38 anni minimi di contributi e 63 anni di età e che la pensione anticipata a 41 per tutti sostituisca le finestre attuali (41 e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini).

«L’obiettivo finale è quota 41», ha detto il vicepremier Matto Salvini. Nella simulazione si prevede anche l’ipotesi, che resta aperta, di congelare l’adeguamento dei requisiti per andare in pensione (età e anni di contributi): non scatterebbe quindi dal 2019 l’aumento di cinque mesi che porta la pensione di vecchiaia a 67 anni di età, se si hanno almeno 20 anni di contributi, e non sarebbe nemmeno adeguata quota 100. «Questa ipotesi è coerente nella misura in cui rende uguali i meccanismi dei vari requisiti, tuttavia vanno valutati i costi: vedremo che proposte farà il governo», spiega Andrea Carbone di Progetica.

Il massimo del beneficio è previsto per un uomo nato nel 1994 che ha iniziato a lavorare quest’anno, a 24 anni. Con quota 100 potrà andare in pensione in anticipo di 8 anni e nove mesi rispetto a oggi, anticipare il ritiro dal lavoro a 62 anni rispetto a 70 anni e 9 mesi. Una donna nata nel 1993 potrà invece anticipare la pensione di 7 anni e 9 mesi, ritirandosi a 62 anni e 10 mesi, se la sua storia contributiva è iniziata a 25 anni, ovvero quest’anno. L’effetto delle riforme alla legge Fornero allo studio del governo farà praticamente tornare indietro di sette anni le lancette del sistema previdenziale italiano, ovvero al 2011, quando il governo Monti alzò drasticamente (anche di 7-8 anni) l’età della pensione, colpendo migliaia di lavoratori allora alla soglia dei 60 anni che si avevano visto allontanarsi d’un colpo il traguardo del buen retiro.

Il fatto è però un altro: resta da capire quanti giovani potranno effettivamente ricadere in questo nuovo sistema, visto che precariato e ritardo dell’ingresso nel mondo del lavoro sono due problemi che hanno colpito duro proprio i nati tra a partire dagli anni 80 ovvero quelli che sulla carta dovrebbero beneficiare maggiormente delle nuove regole. La quota 100 infatti funziona bene per chi ha una storia contributiva senza interruzioni e quindi può presentarsi alla soglia dei 60 anni con un’anzianità adeguata.
Viceversa chi non è riuscito a mettere insieme questi anni di contributi non potrà uscire prima. In pratica, considerate le ultime ipotesi, quota 100 sarà la somma tra 38 anni di contributi versati e 62 anni di età. A 63 anni andrà in pensione con quota 101 perché resta imprescindibile il requisito dei 38 anni, indipendentemente dall’età, a 64 scatterà quota 102 e così via. Mentre il meccanismo attuale di poter anticipare la pensione con 41 anni di contributi, qualunque sia l’età, resterebbe valido. E con il nuovo sistema bisognerà fare i conti fin da subito. «Confermiamo che la quota 100 per le pensioni partirà al massimo entro febbraio, anche se faremo di tutto per renderla operativa già dal 1° gennaio 2019, e che prevede una spesa di 7 miliardi per il prossimo anno», ha dichiarato nei giorni scorsi il viceministro all’Economia Massimo Garavaglia.

E nella Nota di Aggiornamento al Def 2018 appena inviata a Bruxelles e al Parlamento si legge che «è necessario rivedere il sistema pensionistico in modo da garantire il superamento degli squilibri dell’attuale sistema previdenziale per agevolare il ricambio generazionale e consentire ai giovani di poter avere accesso al mercato del lavoro. Tale priorità sarà realizzata attraverso l’individuazione della cosiddetta quota 100 come somma dell’età anagrafica (62 anni) e contributiva (minimo 38 anni) quale requisito per accedere alle misure previdenziali».
Sul tema il dibattito resta acceso. «Sarebbe cruciale non fare retromarcia rispetto alle riforme degli scorsi anni», spiega il Centro Studi di Confindustria negli ultimi Scenari Economici. Per gli economisti di viale dell’Astronomia in un sistema come quello italiano, «dove i contributi di chi lavora servono ogni anno a pagare le pensioni di chi si è ritirato», si renderebbe necessario «un aumento del già elevato prelievo contributivo». Dunque «è opportuno evitare passi indietro pericolosi rispetto a quel processo di riforma in atto dal 1992, che ha reso la spesa previdenziale italiana sostenibile nonostante l’invecchiamento della popolazione». Di parere opposto il ministro dell’economia, Giovanni Tria, secondo cui una revisione della riforma Fornero è «necessaria non solo alle persone ma anche per le imprese», in quanto «la transizione della riforma Fornero ha creato disagi impedendo alle imprese un fisiologico turnover» tra anziani e giovani con competenze al passo coi tempi. (riproduzione riservata)

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