Chi opterà per Quota 100 rinuncerà a una parte dell’assegno. Dovrà quindi fare una scelta tra tempo e denaro, che potrà essere più facile per chi conta su un rendita integrativa. Ecco i fondi negoziali ed aperti che hanno reso di più nei 9 mesi
di Roberta Castellarin e Paola Valentini

Chi opterà per quota 100 e deciderà di lasciare il lavoro con qualche anno di anticipo rinuncerà, contemporaneamente, a una parte dell’assegno. Non perché la riforma preveda una penalità per chi esce prima. ma perché avrà meno contributi su cui contare. Infatti con la legge Fornero il metodo contributivo è stato applicato a tutti dal 2012 in poi. Si tratta quindi di uno scambio tra tempo e denaro che andrà valutato caso per caso. La decurtazione in media sarà del 15% e potrà arrivare a un 20% per chi anticipa di sette anni. Quindi questa ulteriore modifica in arrivo della riforma del primo pilastro riaccende i riflettori sull’importanza di un assegno di scorta da affiancare a quello dell’Inps. E sui rendimenti dei prodotti nati proprio per soddisfare questa nuova esigenza degli italiani, abituati fino a qualche anno fa a pensioni generose. E proprio dai rendimenti aggiornati al 30 settembre può partire un’analisi su come si presenta l’industria della previdenza di scorta. MF Milano Finanza ha raccolto le performance dei primi nove mesi dei fondi pensione negoziali e ha chiesto a Fida di elaborare una classifica dei migliori fondi pensione aperti. Ecco cosa emerge.

Un contesto difficile. Il ritorno della volatilità sui mercati azionari e obbligazionari ha avuto un impatto sulle performance sia dei negoziali sia degli aperti. In media da gennaio a marzo i primi hanno registrato una performance del +0,01% netto, mentre nello stesso periodo la rivalutazione del Tfr si è attestata all’1,73% (si apprezza dell’1,5% fisso all’anno più il 75% dell’indice di inflazione Istat). Gli aperti hanno messo a segno un risultato medio del -0,64%. C’è da dire che sui rendimenti dei fondi pensione grava un’imposta con aliquota del 20%, mentre quella sulla rivalutazione del Tfr è più bassa, il 17%, quindi i primi hanno una zavorra fiscale più pesante. A essere penalizzate sono state soprattutto le linee garantite, per via della correzione del mercato obbligazionario, mentre le linee bilanciate e dinamiche hanno beneficiato di una diversificazione maggiore.
Tra gli aperti i primi comparti per rendimento da inizio anno sono di Anima , società di gestione guidata dall’ad Marco Carreri: Arti e Mestieri Crescita 25+ classe A ha reso il 5,8% e Arti e Mestieri Crescita 25+ il 5,36%. Entrambi sono prodotti azionari globali come Helvetia Domani Linea Azionaria di Helvetia Vita che segue con il +3,64%. Poi in classifica si piazza Fideuram Crescita di Fideuram Vita (+3,29%), un fondo a ritorno assoluto.

Nei negoziali la migliore è stata la linea Crescita di Fondaereo (il fondo dedicato a piloti e assistenti di volo gestito da Amundi ed Edmond de Rothschild Asset Management) che ha realizzato il +3,26%, poi con il 3,1% c’è il comparto Dinamico di Eurofer (comparto dedicato ai dipendenti delle ferrovie e di Anas) gestito da Anima e con il 2,4% il comparto Azionario di Mediafond (il fondo per i lavoratori di imprese radio televisive private e dell’industria dello spettacolo) il cui mandato è affidato a Credit Suisse Italy. E in questi ultimi tre mesi i gestori dei fondi hanno dovuto di nuovo fare i conti con l’impennata dello spread. «Giunge una conferma dal terzo trimestre 2018: siamo nell’anno più complicato da quel 2011 difficile da dimenticare, dato che ci ha lasciato in eredità lo spread, termine oggi nuovamente d’attualità», dice Paolo Stefan, direttore del fondo pensione Solidarietà Veneto, che aggiunge: «Nulla a che vedere con i numeri di quell’anno nefasto, o, peggio ancora, con il 2008 di Lehman Brothers, tuttavia l’incertezza, attuale e prospettica, generata da diverse fonti alimenta un’elevata volatilità che ha coinvolto, sostanzialmente senza distinzioni, ogni asset class». Stefan ricorda che rispetto ai mesi precedenti, nel trimestre luglio-settembre va anche rilevata una significativa novità, purtroppo tipicamente italiana: «I prezzi dei titoli di stato emessi dal nostro Paese sono scesi, assieme a quelli delle azioni Italia: ritorna quella correlazione che, più volte in passato, ha messo sotto pressione i gestori del risparmio del Belpaese. Le premesse lascerebbero presupporre effetti pesanti sui Comparti di Solidarietà Veneto; ci troviamo invece in una situazione, se non proprio rosea, certamente più che dignitosa», continua Stefan. Il cosiddetto flight-to-quality (disinvestimento dei titoli emessi da Paesi reputati più a rischio e l’investimento in titoli di Paesi più stabili) ha infatti favorito Solidarietà Veneto, grazie alla sua asset allocation storicamente protettiva e vocata alla forte diversificazione internazionale. Spiega Stefan che «è significativa, specie nelle ultime settimane, la preoccupazione degli associati, soprattutto alla luce delle vicende politiche di casa nostra. Andando però a verificare i dettagli, emergono risultati superiori alle aspettative, soprattutto riguardo al comparto Dinamico». In effetti, la linea di investimento dedicata ai più giovani è quella che nel trimestre ha maturato la migliore performance, con un risultato netto da inizio anno che sfiora il 2%, superiore alla rivalutazione del Tfr. Anche i comparti più bilanciati (Prudente e Reddito), grazie alla consistente diversificazione, non risentono in misura eccessiva delle tensioni sui titoli di stato italiani: fra giugno e settembre si è incrementato quindi il valore quota e il rendimento da inizio anno è rimasto positivo.
C’è molta attenzione ai numeri anche da parte di chi punta, con il fondo, a proteggere il capitale ovvero, tipicamente, i pensionandi. Agli aderenti più anziani è infatti dedicato il comparto Garantito Tfr che ha una maggiore esposizione al debito pubblico italiano ed è quindi più sensibile alle oscillazioni nel valore del Btp. Sulla questione Stefan dichiara che «alla fine del primo semestre si registrava la preoccupazione per gli eventi di maggio, con le frizioni legate alla formazione del nuovo Governo; dopo la successiva stabilizzazione dei mercati, nelle ultime settimane siamo ricaduti in una situazione simile, a causa delle tensioni attorno all’approvazione della manovra di bilancio».
L’efficacia del paracadute assicurativo offerto dal Garantito Tfr, che garantisce un rendimento minimo pari alla rivalutazione del Tfr che resta in azienda si misura peraltro proprio in questi frangenti. In conclusione, «da un lato la presenza dell’assicurazione (Garantito Tfr), dall’altro l’efficacia della diversificazione (Prudente, Reddito e Dinamico) consentono a Solidarietà Veneto di dipingere, a settembre 2018, un quadro complessivamente positivo, nonostante la persistente difficoltà dei mercati. Una situazione almeno in parte appagante, che auspichiamo possa evolversi in positivo da qui a fine anno», conclude Stefan.

Concorda sulla necessità di diversificazione Luca Merighi, direttore di Fondemain (ex Fopadiva): «Continua ad essere centrale la diversificazione, principio cardine di ogni fondo pensione, soprattutto sotto il profilo delle geografie interessate: l’uscita di capitali dall’Italia, infatti, si è direzionata verso emissioni di Paesi core della zona euro dove, pur con rendimenti più contenuti, gli investitori hanno potuto trovare maggior stabilità». Merighi ha aggiunto: «La parte azionaria di portafoglio ha, in ogni caso, continuato nel percorso di crescita dei mesi precedenti e di ciò ne ha beneficiato in modo particolare il Dinamico; il Garantito, invece, con una esposizione maggiore agli asset obbligazionari, ha consolidato il rallentamento del primo semestre. A metà dei due estremi si colloca il Prudente che procede con un risultato prossimo alla parità nel confronto da inizio anno». Nel terzo trimestre Fopadiva è diventato Fondemain e ha ampliato la base dei potenziali aderenti in favore della quasi totalità dei lavoratori autonomi operanti sul territorio regionale.

Questione di governance. Ma se sul fronte dei rendimenti i fondi anche in questo trimestre turbolento hanno dato buona prova di tenuta, l’attenzione si deve spostare anche sulla modernizzazione della propria governance e sulla ricerca di nuovi investimenti. «Le performance finanziarie e quindi i nuovi investimenti rappresentano un fondamentale, se non il principale banco di prova, per gli amministratori degli enti di previdenza. I rendimenti ottenuti, infatti, permettono innanzitutto di garantire le promesse verso gli iscritti e mantenere gli equilibri di lungo periodo, ma rappresentano sempre più anche un’importante leva di marketing verso nuovi potenziali aderenti al welfare di primo pilastro e a quello complementare anche in vista dei nuovi Pepp (Pan european personal pension product, ndr)», spiega Alberto Brambilla, presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e consigliere economico della Lega, il quale sottolinea come in questi ultimi 13 anni, nonostante la lunga crisi che ha caratterizzato i mercati finanziari il patrimonio degli investitori istituzionali, in particolare quelli dei fondi pensione negoziali e preesistenti, delle casse privatizzate e anche dei fondi di assistenza sanitaria integrativa, è aumentato dai 114,8 miliardi di euro del 2004, ai 237,2 miliardi di euro del 2017, con un incremento del 106,6%. «Per quanto riguarda la previdenza complementare, secondo gli ultimi dati Ocse, il nostro Paese si classifica al dodicesimo posto per dimensioni di mercato (rapporto tra il patrimonio dei fondi pensione e il pil, ndr) dopo Danimarca, Olanda, Canada, Usa, Svizzera, Australia, UK, Svezia, Cile, Sud Africa. In Olanda, ad esempio, i fondi pensione hanno un patrimonio di 1.203 miliardi di euro, la Svizzera 704 miliardi; i primi 300 fondi mondiali per dimensioni hanno una patrimonializzazione di oltre 16.000 miliardi di dollari e il Gpfg (Government pension fund global gestito gestito da Norges bank, ndr), il fondo pensione sovrano della Norvegia, fa da solo oltre 800 miliardi di euro», dice Brambilla, ricordando che con oltre 160 miliardi di patrimonio i fondi pensione italiani iniziano ad avere una buona capitalizzazione e a essere un mercato interessante. «Se consideriamo anche gli altri investitori istituzionali, comprese le fondazioni bancarie, ci classifichiamo tra i primi 10 Paesi dell’area Ocse e non Ocse per patrimonializzazione. Anche i flussi annui da investire, tra nuovi apporti netti e titoli o mandati da reinvestire, iniziano a essere importanti avendo raggiunto la ragguardevole cifra di circa 20 miliardi per anno».

Assume quindi grande importanza la presenza di una buona ed efficace governacne degli investitori istituzionali perché questa «consente la creazione di valore nel lungo periodo attraverso procedure codificate che consentono rapide decisioni tali da beneficiare delle opportunità di breve periodo senza penalizzare gli obiettivi di lungo termine, agendo in maniera efficiente in un contesto di rischi in rapida evoluzione, adattandosi con efficacia ai mutamenti sempre più frequenti dei mercati», avverte Brambilla.
Secondo l’esperto occorre mettere in campo nuove strategie sia organizzative sia d’investimento. «In questa duplice sfida, il controllo dei costi, l’assetto della governance, le strategie di investimento adottate e la selezione dei gestori rappresentano leve competitive di prim’ordine per il mercato e per gli iscritti. Un’importante partita legata dunque proprio alla modernizzazione della governance, che, come visto, deve adattarsi a nuove situazioni e nuove sfide: si pensi ai Pepp di prossima introduzione anche sul mercato italiano che genereranno un’ulteriore concorrenza con le altre forme previdenziali di secondo pilastro siano esse individuali o collettive». Brambilla ricorda che ci sono poi le nuove sfide legate a investimenti nell’economia reale domestica e quelle relative a nuove tipologie di mandati e di investimenti diretti in asset più rischiosi rispetto ai tradizionali in obbligazioni, titoli di stato e qualche azione.
«Sfide che richiedono ai soggetti partecipanti alla governance di questi maggiore efficienza, una più ampia preparazione professionale e una riduzione dei tempi decisionali fondamentali soprattutto per le strategie di investimento. D’altra parte, occorre poi una differente visione e interpretazione dei costi per i servizi di gestione dei patrimoni, per la consulenza e per il controllo, che devono considerare il valore aggiunto dei gestori sempre più impegnati in nuove strategie sia negli investimenti tradizionali, sia in quelli alternativi e di sostegno allo sviluppo delle singole categorie e del Paese», conclude Brambilla. (riproduzione riservata)

Ma le azioni italiane sono assenti nei portafogli
di Carlo Giuro

Le Casse di previdenza, oltre alla fondamentale e centrale funzione pensionistica, interpretano anche l’importante ruolo di investitore istituzionale cui si guarda a livello sistemico con estremo interesse come sostegno finanziario all’economia produttiva. Molto interessante è allora il Quadro di sintesi al 31 dicembre 2017 sulle politiche di investimento pubblicato dalla Covip. Andando ai dai quantitativi viene sottolineato le risorse complessive del settore, il cui valore di mercato ammonta a 85,3 miliardi di euro, hanno avuto un aumento rispetto al 2016 di 5,3 miliardi (circa il 6,6% in più). Dal 2011 al 2017, le attività totali delle Casse sono cresciute complessivamente del 53,2% (da 55,7 a 85,3 miliardi). Ma sono ampie le differenze nella dimensione dell’attivo. Circa il 73% delle risorse complessive del settore fa capo a cinque Casse (Enpam, Inarcassa, Cassa Dottori Commercialisti ed Enasarco). Le differenze sono riconducibili alle caratteristiche economiche, sociali e demografiche delle diverse platee di riferimento. Andando alla composizione dell’attivo, gli investimenti immobiliari, 19,4 miliardi (19,1 miliardi nel 2016), si sono ridotti in percentuale dell’attivo (22,7% contro il 23,8% del 2016); tra le diverse componenti, l’incidenza delle quote di fondi immobiliari (pari al 16,1%) è in leggero aumento, mentre diminuisce quella degli immobili detenuti direttamente (dal 7,3 al 6%).
Con riguardo alla componente mobiliare, gli investimenti in obbligazioni, 31,2 miliardi (27,9 miliardi nel 2016) costituiscono il 36,6% dell’attivo, in aumento di 1,7 punti percentuali rispetto al 2016. E tra questi, gli investimenti diretti scendono passando dal 24,4 al 22,4%, ma aumenta dal 10,5% al 14,3% la componente obbligazionaria detenuta attraverso i fondi. Nel contempo gli investimenti in azioni, 14,8 miliardi (13,3 miliardi nel 2016) formano il 17,3% dell’attivo (16,6 nel 2016) e tra le diverse componenti, restano sostanzialmente stabili gli investimenti diretti, mentre si registra un aumento dal 7% al 7,8% della componente azionaria nei fondi. Molto interessante poi l’approfondimento sugli investimenti nell’economia italiana, anche in chiave comparativa rispetto ai fondi pensione. Gli investimenti domestici delle Casse ammontano a 34,4 miliardi, mentre gli investimenti non domestici si attestano a quota 36,9 miliardi. I fondi pensione hanno investito nell’economia italiana 38,3 miliardi, mentre gli investimenti non domestici ammontano a 79,5 miliardi. Considerando le attività al netto di liquidità, polizze assicurative e altre attività (soprattutto formate da crediti contributivi), l’incidenza della componente domestica è pari al 48,2% per le Casse e al 32,5% per i fondi pensione. Per le Casse, nell’ambito degli investimenti domestici sono predominanti gli investimenti immobiliari, mentre per i fondi pensione la componente più rilevante è costituita dai titoli di Stato. (riproduzione riservata)

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