Dopo lo scioglimento del sindacato per l’uscita di Bolloré i soci cercano un’alternativa e a muoversi è il patron di Mediolanum Intanto un gigante assicurativo cinese esplora opportunità in Europa…
di Giuseppe Stadio Caputo

Vincent Bolloré ha suonato il «liberi tutti» in Mediobanca per slegarsi le mani su Tim e Mediaset, ma per ironia della sorte Ennio Doris, patron di Mediolanum e socio storico del grande rivale del finanziere bretone, Silvio Berlusconi, ha tirato fuori dal cilindro l’idea di un nuovo patto di consultazione sulla banca d’affari, di cui Mediolanum ha il 3,29% e il banchiere nato a Tombolo uno 0,21%% tramite la holding di famiglia Fin.Prog. Lo definisce «patto di condivisione», una forma light che potrebbe essere gradita a Unicredit, primo socio con l’8,4%. L’uscita della Financière di Parguet di Bolloré (7,9% di Mediobanca), sommata al passo indietro di Italmobiliare (0,98%), aveva abbassato al 19,6% la quota sindacata (28,47%), sotto il limite del 25% sancendo scioglimento automatico a fine anno. Salvo appunto voler riedificare un mini-patto con una mera funzione segnaletica rispetto alle Generali, di cui Piazzetta Cuccia ha il 13,2%. Nelle conversazioni iniziali il patron di Mediolanum avrebbe abbozzato la sua idea come un accordo di consultazione, senza vincoli di blocco dei titoli, che si limita a condividere alcune scelte riguardanti Mediobanca. Condivisione che resterebbe fino a quando gli aderenti conservino l’ultima azione.

I rappresentanti di Unicredit presenti alle ultime riunioni di giovedì 27 di direttivo e assemblea del patto avrebbero aperto alle ipotesi di riproporne un altro, con meno impegni e vincoli, anche in formato minore, che abbia la funzione di strumento proprietario per coagulare orientamenti e decisioni. La durata potrebbe estendersi a ottobre 2020, quando scatterà l’ultima fase della riforma della governance di Piazzetta Cuccia con l’avvento della formula monistica e con la lista per il rinnovo del cda che viene stilata dal board uscente. Il tutto senza avere l’obbligo però di mantenere congelata la posizione azionaria.

Mediolanum e Fininvest (0,97%) entrarono nel salotto di via Filodrammatici nel marzo 2000, pochi mesi prima della scomparsa di Enrico Cuccia. All’epoca il patto di sindacato vincolava il 50% ma c’era il problema della quota Comit, nel frattempo passata nell’orbita di Banca Intesa. Mediolanum e Mediobanca siglarono allora una joint venture rafforzata da uno scambio azionario del 2% per sviluppare il business del private banking. Negli anni il peso di Mediolanum è cresciuto attraverso l’acquisto, pro quota, prima delle azioni di Comit (8%) e poi della parte eccedente la partecipazione di Unicredit post-fusione con Capitalia (9,39%). Doris, per caratura e capacità di relazioni, ha una forte leadership e la sua idea del patto di condivisione manterrebbe in vita lo spirito della consultazione, senza troppi obblighi, su grandi tematiche, ma che possa orientare le decisioni. Al top management di Mediobanca farebbe comunque comodo convivere con una qualche forma di accordo con i soci. Anche perché nell’aprile 2019 scadrà il consiglio delle Generali e il rinnovo della governance del Leone costituisce da sempre un terreno di confronto acceso. Il presidente Gabriele Galateri di Genola non potrà essere confermato per limiti di età, per cui si apre la successione con molte candidature. Non è in discussione il rinnovo di Philippe Donnet, che ha uno stretto legame con Mustier e non solo per la comune origine francese. Insomma, sono tanti gli indizi che fanno ritenere l’interesse del banchiere di Unicredit per costruire un «pattino» su Mediobanca finalizzato ad avere un osservatorio privilegiato su Trieste, non avendo un canale diretto di intervento nell’azionariato della compagnia, presidiato da un fronte italiano che ha raggiunto il 22,91%. Di questo schieramento Francesco Gaetano Caltagirone è il punto di riferimento avendo la quota più alta (4%, ma prossimo a salire al 5% e subito dopo al 7%) ma anche le ambizioni più spiccate. Il costruttore romano cerca di mantenere una posizione mediana di convenienza rispetto a Mediobanca, Del Vecchio, Unicredit, Benetton. In queste settimane sta incalzando Donnet per rendere più aggressivo il nuovo piano 2019-2021 in modo da aumentare il valore della compagnia, che oggi capitalizza 23 miliardi, una dimensione considerata modesta rispetto ad Axa o Allianz (rispettivamente 55,3 e 81,7 miliardi).

Secondo alcuni banchieri d’affari, Ping An, una delle principali assicurazioni cinesi con una capitalizzazione di 182 miliardi di dollari, potrebbe esaminare l’espansione in Europa e l’Italia rientrerebbe tra i Paesi sotto osservazione.
Tra qualche settimana è possibile che si tenga un nuovo vertice di azionisti e Caltagirone potrebbe riproporre l’opzione di un aumento di capitale di alcuni miliardi per sostenere lo sviluppo nei business più profittevoli, come il wealth management. L’ipotesi ricapitalizzazione trova freddi Mediobanca e Dea Capital. Finora al momento dei rinnovi del cda Generali Mediobanca ha sempre menato le danze, proponendo il presidente, uno dei vice, l’amministratore delegato e influendo sull’eventuale nomina del direttore generale. Adesso invece Caltagirone assieme agli altri soci privati vuole avere voce in capitolo sull’intero pacchetto. E altrettanto potrebbe fare Unicredit, anche attraverso il nuovo «pattino» Mediobanca. Insomma, nelle prossime settimane ci sarà ingorgo nel crocevia della grande finanza. (riproduzione riservata)

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