La sentenza della Cassazione n. 21516 è occasione per definire l’infortunio in itinere
In bici scatta l’indennizzo: il suo uso è sempre necessitato
Pagina a cura di Carla De Lellis

Tutela Inail a 360 gradi contro gli infortuni sul lavoro. Comincia da casa, prosegue nel tragitto che conduce al lavoro, poi in fabbrica o ufficio, e infine nel percorso di rientro a casa. Quando si è fuori dalla sede di lavoro (nei percorsi di andata e di ritorno dal luogo di lavoro, nonché di spostamento da un luogo a un altro di lavoro), la tutela assume la specifica conformazione del cosiddetto infortunio in itinere. Infortunio che può capitare a piedi, in viaggio su un mezzo pubblico o privato o anche in bicicletta. In quest’ultimo caso si ha sempre diritto al risarcimento perché, come confermato recentemente dalla Cassazione (sentenza n. 21516/2018, si veda ItaliaOggi dell’1/9/2018), l’uso della bici è da ritenersi sempre necessitato, equiparato cioè a quello di un mezzo pubblico o al percorso a piedi. Vediamo come e quando opera la tutela Inail.

L’infortunio sul lavoro. È infortunio sul lavoro tutelato dall’Inail ogni incidente accaduto a un lavoratore per «causa violenta in occasione di lavoro», dal quale sia derivata la morte del malcapitato, o l’inabilità permanente oppure temporanea assoluta per più di tre giorni. Occorre, dunque, che ci siano due elementi fondamentali: la causa violenta e un’occasione di lavoro. Sono in ogni caso fuori dalla tutela gli infortuni conseguenti a un comportamento estraneo al lavoro, quelli simulati dal lavoratore o le cui conseguenze siano dolosamente aggravate dal lavoratore stesso; sono invece comunque tutelati quelli accaduti per colpa del lavoratore, perché gli aspetti soggettivi della sua condotta (imperizia, negligenza o imprudenza) non hanno rilevanza ai fini del diritto all’indennizzo dell’evento lesivo, sempreché si tratti di aspetti di una condotta riconducibile nell’ambito delle finalità lavorative.

Gli elementi fondanti. Che cos’è la causa violenta? E che cosa s’intende con occasione di lavoro? Viene riconosciuta causa violenta ogni aggressione che dall’esterno dell’ambiente di lavoro danneggia l’integrità psico-fisica del lavoratore. È un fattore che opera con azione intensa e concentrata nel tempo, e presenta le seguenti caratteristiche: efficienza, rapidità ed esteriorità. Può essere provocata da sostanze tossiche, sforzi muscolari, microrganismi, virus o parassiti e da condizioni climatiche e microclimatiche. Per occasione di lavoro viene intesa ogni situazione, comprese quelle ambientali, nelle quali si svolge un’attività lavorativa e nelle quali è imminente il rischio per il lavoratore. Si tratta di un concetto diverso dalle comuni categorie spazio temporali che si riassumono nelle espressioni «sul posto di lavoro» oppure «durante l’orario di lavoro»: non è sufficiente, infatti, che l’evento avvenga durante il lavoro, ma che si verifichi per il lavoro. Deve esistere, cioè, un rapporto, anche indiretto di causa-effetto tra attività lavorativa svolta dall’infortunato e incidente che ha causato l’infortunio.

Infortunio in itinere. La tutela dell’infortunio in itinere è disciplinata dall’art. 12 del dlgs n. 38/2000 e prevede che l’Inail tuteli i lavoratori nel caso d’infortuni avvenuti durante il normale tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro. Il cosiddetto infortunio in itinere può verificarsi, inoltre, durante il normale percorso che il lavoratore deve fare per recarsi da un luogo di lavoro a un altro, nel caso di rapporti di lavoro plurimi, o durante il tragitto abituale per la consumazione dei pasti, se non esiste una mensa aziendale. Qualsiasi modalità di spostamento è ricompresa nella tutela (mezzi pubblici, a piedi ecc.) a patto che siano verificate le finalità lavorative, la normalità del tragitto e la compatibilità degli orari. Al contrario, il tragitto fatto con l’utilizzo di mezzo privato, compresa la bicicletta fino a qualche tempo fa, è coperto dalla tutela Inail solo se l’uso è «necessitato».

In bici c’è sempre tutela. Con la citata sentenza n. 21516/2018, chiamata a decidere di una causa tra un lavoratore e l’Inail, la Corte di cassazione dà ragione al lavoratore, affermando che «l’uso della bicicletta deve ormai intendersi sempre necessitato». La causa è stata innescata dal lavoratore il quale ha impugnato la sentenza della Corte di appello con il rigetto della sua richiesta di condanna dell’Inail a dovergli l’indennizzo per una menomazione dell’8% sofferta in seguito all’infortunio capitatogli nel corso del tragitto casa-lavoro percorso in bicicletta. La Corte d’appello ha ritenuto che l’uso della bici, quale mezzo privato, non fosse «necessitato» (che è la condizione fondamentale affinché sia possibile il riconoscimento della tutela Inail, in caso di utilizzo di mezzi non pubblici). Secondo la Corte di cassazione, invece, la Corte di appello non ha adeguatamente interpretato la nozione di «utilizzo necessitato». Tal è, spiega la sentenza, l’uso determinato da ragioni d’impedimento per la percorrenza a piedi del tragitto casa-lavoro e viceversa. Per ragioni d’impedimento devono intendersi non solo le situazioni in cui l’impossibilità è assoluta, ma anche quelle in cui la deambulazione sia motivo di pena e/o di eccesso di fatica, oltre che di rischio per l’integrità psicofisica, alla luce dei principi di tutela della dignità della persona (ex art. 2 della Carta costituzionale). Peraltro, aggiunge sempre la Cassazione, l’uso della bici per il tragitto casa-lavoro e viceversa può essere consentito anche «secondo un canone di necessità relativa, ragionevolmente valutato in relazione al costume sociale, e per tutelare l’esigenza di raggiungere in modo riposato e disteso i luoghi di lavoro in funzione di una maggiore gratificazione dell’attività svolta». Soprattutto, però, conclude la Corte di cassazione, l’uso della bicicletta deve ormai intendersi sempre necessitato per quanto previsto all’art. 5, comma 5, della legge n. 221/2015, vale a dire «per i positivi riflessi ambientali». La bici, in altre parole, è da considerarsi mezzo pubblico e non mezzo privato.
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D’obbligo inviare la comunicazione
In caso d’infortunio, anche in itinere e a prescindere dalla prognosi, il lavoratore deve avvisare immediatamente, o far avvisare nel caso in cui non potesse, il proprio datore di lavoro, anche nel caso di lesioni di lieve entità. Non ottemperando a tale obbligo e nel caso in cui il datore di lavoro non abbia comunque provveduto all’invio della denuncia nei termini di legge, l’infortunato perde il diritto all’indennità temporanea per i giorni di mancata denuncia. In base alla gravità dell’infortunio, il lavoratore può:

rivolgersi al medico dell’azienda, se è presente nel luogo di lavoro;

recarsi o farsi accompagnare al Pronto soccorso nell’ospedale più vicino;

rivolgersi al suo medico curante.
In ogni caso, deve spiegare al medico come e dove è avvenuto l’infortunio. Qualunque medico presti la prima assistenza è obbligato a rilasciare il certificato medico nel quale sono indicati la diagnosi e il numero dei giorni di inabilità temporanea assoluta al lavoro e a trasmetterlo esclusivamente per via telematica all’Inail.

Che cosa fare se il datore di lavoro non denuncia l’infortunio? Il datore di lavoro ha l’obbligo di inoltrare la denuncia/comunicazione di infortunio entro due giorni dalla ricezione dei riferimenti del certificato medico già trasmesso per via telematica all’Inail direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria competente al rilascio. Se il datore di lavoro non dovesse denunciare all’Inail l’infortunio, può farlo il lavoratore recandosi presso la sede Inail competente con la copia del certificato.

E in caso di ricaduta? Se dopo la ripresa dell’attività lavorativa il lavoratore si sente male per motivi conseguenti all’infortunio e torna al pronto soccorso o dal proprio medico, nel certificato rilasciato deve essere specificato che si tratta di ricaduta dall’infortunio già comunicato.

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