Il sistema sanitario pubblico italiano deve confrontarsi con diversi fattori che possono minarne la sostenibilità, tra cui la decelerazione del finanziamento pubblico della spesa sanitaria, l’invecchiamento della popolazione (l’Italia è il primo Paese in Europa per incidenza della popolazione over 65 anni) e l’aumento dei servizi e prestazioni richieste. Per tali motivi si rileva una crescente attenzione all’evoluzione della spesa sanitaria privata che, in base agli ultimi dati disponibili, vale circa 35 miliardi. Questa rappresenta un quarto circa della spesa sanitaria totale in Italia ed è finanziata prevalentemente dal cittadino (cosiddetta spesa out of the pocket) e in misura ancora limitata, ma in crescita, dalla cosiddetta spesa sanitaria intermediata (12% della spesa privata). «Quest’ultima in Italia è rappresentata da fondi sanitari integrativi, casse e società di mutuo soccorso e compagnie d’assicurazione, sia attraverso accordi di natura collettiva che individuale», spiega Claudio Bocci, partner e responsabile practice asset management di Prometeia. Questi operatori, escludendo le assicurazioni, rappresentano anche un segmento emergente di investitori dato che dispongono di liquidità che devono far rendere.

Proprio per capire le loro peculiarietà sul fronte degli investimenti, Prometeia ha condotto un’analisi ad hoc. Partendo da alcuni dati di sistema. Il ministero della Salute conta 305 operatori (265 nel 2012) tra fondi, mutue e casse sanitarie private, un insieme di enti diversi tra loro (che peraltro si differenziano dalle polizze sanitarie delle compagnie perché queste ultime applicano le tariffe in base alle caratteristiche del singolo e non considerando platee di lavoratori). Sono tipicamente istituiti nella forma di associazione non riconosciuta e devono essere iscritti presso l’Anagrafe dei fondi sanitari integrativi, la cui lista non è però pubblica. Oltre al numero totale, è noto soltanto che nel 2015, secondo il ministero, questi hanno erogato 2,2 miliardi di prestazioni a una platea di oltre 9 milioni di iscritti tra lavoratori e famigliari di lavoratori. Il bacino di cittadini coperti dai fondi sanitari è cresciuto molto negli ultimi anni (+3,4 milioni di unità rispetto al 2012) e copre circa il 20% della popolazione con età superiore a 15 anni. Nel frattempo «aumenta l’attenzione attorno ai fondi sanitari per il ruolo che potranno assumere anche grazie all’istituzione di specifici comparti di categoria, al pari di quanto è stato fatto nella previdenza integrativa con i fondi pensione negoziali, e grazie al crescente ampliamento della copertura ai famigliari dei lavoratori iscritti», spiega Bocci. Prometeia stima che l’attivo di questi investitori valga circa 3,5 miliardi di euro, con una forte concentrazione degli asset negli enti di maggiore dimensione. «Dal nostro osservatorio emerge inoltre che il patrimonio dei fondi sanitari è allocato in misura significativa in conti correnti, depositi e titoli di Stato italiani», rileva Bocci. Un’asset allocation che in questa fase rischia di essere inadeguata. «Il contesto regolamentare, dato che la liquidità dei fondi sanitari presso le banche è soggetta a bail-in, e di mercato, ovvero il rendimento reale negativo generalmente offerto da depositi bancari e obbligazioni governative, e la progressiva crescita dell’attivo dei fondi sanitari spingono questi enti a rivedere il proprio approccio alla gestione di portafoglio», avverte il partner di Prometeia. Quali sono le scelte quindi? Anche i fondi sanitari iniziano a diversificare, seguendo ciò che hanno iniziato a fare già da qualche tempo i gestori delle polizze Vita e dei fondi pensione.

E l’asset management è in primo piano tra le nuove soluzioni di allocazione. «Come sperimentato negli anni passati da altri investitori istituzionali, i fondi sanitari si stanno via via affacciando maggiormente al mondo del risparmio gestito al fine di incrementare la diversificazione e il rendimento atteso del portafoglio. Si assiste, dunque, alla nascita di una nuova categoria di investitori istituzionali, che esprime maggiore necessità di dialogare con l’industria del risparmio gestito, ad oggi poco attiva su questo segmento», conclude Bocci. (riproduzione riservata)
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