«Abbiamo 77 società in portafoglio, le consideriamo tutte storie di successo». E’ quanto ha detto Simone Bini Smaghi, vice dg di Arca fondi, sgr che ha tenuto a Roma un incontro dedicato ai Piani individuali risparmio con circa 200 clienti della Popolare di Sondrio , suo azionista. E’ stata l’occasione per ricordare l’importanza della novità Pir a sostegno dell’economia reale e anche come strumento per educare il risparmiatore a un investimento di lungo periodo e con grado di rischio diverso da quello dei titoli di Stato (quelli di una vota, almeno). Oggi Arca gestisce quattro fondi di classe Pir, sia bilanciati sia azionari, per una raccolta sui 720 milioni. Quello citato da Bini Smaghi è un esempio concreto di quello che un Pir può rappresentare per società non di primo piano tra le quotate di Piazza Affari, come lo sono quelle che si trovano su segmenti come Star e anche Aim, oltre che sul Mta.

A dar conto della dimensione che sta assumendo il fenomeno in Italia ha provveduto ieri anche Fabrizio Pagani, responsabile segreteria tecnica del Mef, che ha parlato dei Pir come «successo spettacolare» in termini di capitali raccolti, dal momento che rispetto agli 1,8 miliardi l’anno attesi in partenza, le ultime proiezioni ipotizzano che si arrivi a 10 miliardi. Finora la borsa italiana ne ha beneficiato e le performance 2017 ne sono chiara prova. E’ auspicabile però che l’ingresso degli investitori nei Pir e poi quello dei Pir nel capitale delle società avvenga con l’opportuna gradualità, per evitare di creare eccessi di volatilità nei prezzi, col rischio di lasciare i sottoscrittori dei Piani con qualche ferita difficile da rimarginare.

Le armi a disposizione per bilanciare Mifid 2

Se da un lato l’industria del risparmio trova una potente leva di rilancio nello strumento Pir (articolo qui sopra), dall’altro deve fare chiarezza su alcune incognite, una delle quali è che la direttiva Mifid 2 in arrivo finisca per mettere sotto pressione i margini. Quali le strade da percorrere per poter resistere? Nei giorni scorsi Equita citava il caso di Banca Generali (tp 30 euro, ieri il titolo valeva 28,5) per rimarcare che il gruppo ritiene di poter compensare questa pressione -come altri concorrenti del resto- attraverso una gamma di servizi quali trading, consulenza, vendita di strutturati. Ma come si è mossa finora su questi fronti alternativi al classico collocamento di fonid e polizze? Sul trading la banca ha stretto da poco un accordo con Saxo, in esclusiva per l’italia, per offrire una piattaforma su forex e commodities a una clientela che così non dovrà necessariamente rivolgersi ad altri istituti per la bisogna. Lo stesso ha fatto con Bnp per coprire il versante dei certificates.

Quanto all’attività di advisory, al momento ci sono clienti con in tutto 800 milioni di asset che hanno firmato un contratto di consulenza sul risparmio amministrato; l’obiettivo è arrivare a 5 miliardi. Altro tema scottante per il settore è poi quello dei costi per la recluta dei consulenti: quello medio per Banca Generali è del 2,3%, livello ritenuto sotto controllo. Ad aiutare la società, nello specifico, c’è anche raccolta netta che nei nove mesi si è attestata a 5,16 miliardi e che Equita stima a quota 6 per l’intero anno.
Fonte: logo_mf