Favorito l’ingresso in Borsa di aziende medio piccole
Pagina a cura di Roxy Tomasicchio

Il successo di un Pir passa attraverso le Spac. Tradotto per i non addetti ai lavori (e non solo) significa che le società che hanno ottenuto maggiori scambi, grazie all’ingresso di Piani individuali di risparmio, sono state accompagnate al listino di Borsa da una Spac, acronimo di Special purpose acquisition company. Si tratta di società che hanno solo cassa, come se fossero dei grandi portafogli, in quanto nate con l’unico scopo di raccogliere capitale per effettuare operazioni di fusione e/o acquisizione di aziende (tanto che hanno un periodo di vita limitato a 18-24 mesi dalla quotazione). A rivelare questo scenario sono gli stessi listini, considerato, infatti, che le Spac oggi in Italia rappresentano un movimento da oltre 1,6 miliardi di euro e si sono dimostrate degli acceleratori di crescita e accesso ai listini dedicati alle Pmi. A parlarne a ItaliaOggi Sette è Simone Strocchi, managing partner di Electa e presidente di Aispac (Associazione dei promotori delle Spac), che da tempo si confronta con il Mef, anche per far sì che i Pir possano diventare uno strumento davvero efficace per l’economia reale.

Domanda. Pir e Spac: in che rapporto sono questi due strumenti finanziari?

Risposta. Sono due strumenti destinati a sviluppare virtuose relazioni. I Pir raccolgono da investitori che hanno agevolazioni fiscali condizionate a orizzonte di investimento di cinque anni. Per quanto riguarda l’azionario gli asset eligibili sui listini di borsa sono contenuti in un panorama circoscritto. L’eccesso di investimento su un campione contenuto di titoli rischia di determinare incremento di valorizzazione, riducendone le prospettive di performance. Le Spac e le prebooking company consentono, invece, ai Pir di indirizzare il proprio investimento verso opportunità ancora fuori mercato, che proprio in tal modo accedono al listino.

D. Che differenza c’è tra prebooking company e Spac?

R. Il mercato ha chiamato «prebooking company» delle forme evolute di Spac che sono state già lanciate con il nome Ipo Challenger: si tratta veicoli costituiti da promotori dedicati a emissione di obbligazioni collocate a investitori professionali. Le stesse obbligazioni danno diritto discrezionale a ciascun investitore di aderire a una proposta di rimborso «in natura», alternativo al rimborso in cash, avente a oggetto azioni e warrant direttamente emessi dalla target identificata e negoziata dai promotori, contestualmente alla sua ammissione al listino borsistico. Si tratta di formule innovative, capaci di contenere il cosiddetto «time to market» (l’arrivo sul mercato, ndr). In Italia sono state realizzate a oggi 18 Spac, di cui 16 «tradizionali» e due «prebooking company». Nove Spac tradizionali hanno consegnato la società target (o emittente o società bersaglio, ndr) agli investitori e al listino borsistico in media 18 mesi dopo la raccolta. Le due prebooking company, forti di una operatività più snella, hanno consegnato la target a investitori e listino in una media inferiore a sei mesi.

D. I fattore tempo quindi è determinante

R. Il «time to market» è un elemento cruciale nella proposta di queste formule di investimento e in futuro penso che lo sarà sempre di più. La ricerca di soluzioni per accelerarne i tempi sono sicuramente in continua evoluzione. Vediamo ora nascere fondi di accelerazione di Ipo, come Ipo Club realizzato con Azimut. Borsa italiana in cooperazione con noi di Electa ha recentemente presentato un format di «spac in cloud» che consente di realizzare un operazione di investimento e quotazione di una Pmi attraverso una successione di accordi e proposte che si sintetizzano in strumenti finanziari proposti in esclusiva su elite club deal, piattaforma di matching creata da Elite di borsa italiana. Credo che questo format potrà attrarre diversi fondi Pir a fianco di un crescente numero promotori qualificati, incrementando ulteriormente l’accesso al listino di eccellenze italiane. Una imperdibile occasione per presidiare aree fino a ieri di esclusivo appannaggio di banche d’affari.

D. Pro e contro delle Spac…

R. La Spac e le prebooking company presentano una formula che ha degli elementi di attrattività innegabili e riscontrabili da diversi punti di osservazione. Per l’imprenditore/impresa target sono una opportunità di accesso a capitale e listino borsistico con un percorso che passa da un negoziato riservato e sartoriale. Per gli investitori è un’opportunità di ingresso in economia reale proposta con inedita attenzione. In generale è una proposta franca da conflitti di interesse: promotori investono e rischiano per primi capitali propri; la performance del loro investimento, che si qualifica in azioni della società target, dipende dal buon esito e dal riscontro effettivo di performance sul mercato. Non vedo allo stato attuale degli elementi negativi. Certo la qualità e l’esperienza del team dei promotori cosi come la qualità del book di investitori e della target sono essenziali. Assisteremo comunque a evoluzioni sempre più «investor friendly»: crescerà la presenza di «cornerstone investor» (investitori primari, ndr) a fianco dei promotori che aggiungono ulteriore conforto sulla proposta agli investitori e al mercato.

D. Questi strumenti possono sostenere tutte le Pmi? O quelle con determinate caratteristiche? Quali?

R. Sono strumenti comunque orientati a sostenere Pmi eccellenti di una certa consistenza e con piani di sviluppo sostenibili. Le Spac e le prebooking company vanno bene per aziende che hanno progetti di crescita, anche per acquisizioni. Possono agevolare il passaggio intergenerazionale. Dare finalmente soddisfazione separata a soci inerti e soci operativi che generazione dopo generazione, spesso hanno visioni/desideri contrastanti. Possono agevolare aggregazioni di settore…

D. Spostando invece il punto di vista sulle Spac, cosa devono cercare per portare a termine una operazione profittevole?

R. Aziende sane, con piani di crescita. La parola d’ordine è crescita. Guidate da imprenditori che non sono prede ma predatori…

D. Qual è la situazione in Italia?

R. In Italia il 70% del Pil è alimentato da Pmi. Siamo un paese di risparmiatori e i nostri risparmi provengono direttamente o indirettamente dal tessuto economico nazionale che è qualificato in Pmi. I nostri risparmi quando vengono gestiti ricercano però spesso più la liquidabilità dell’investimento che la performance a medio lungo periodo. Questo porta i risparmiatori italiani a sostenere large cap nord europee piuttosto che economia autoctona. Bene, quindi, l’arrivo dei Pir che canalizzano un po’ di risparmi verso le Pmi nazionali, stimolando orientamento a investimenti di medio periodo. Benissimo le spac e le prebooking company, e le evoluzioni «in cloud», che accompagnano e accompagneranno eccellenze italiane ai listini. Ma aspettiamo ancora casse ed enti previdenziali… che sono purtroppo scarsamente investitori in economia reale italiana. L’opportunità è chiara: le nostre Pmi eccellenti una volta accompagnate ai listini attraggono investitori stranieri. Il 90% % degli investitori sul listini borsistici italiani sono stranieri. Per gli italiani e per i gestori di risparmio c’è una enorme opportunità.

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