di Carlo Giuro
I principi guida di ogni sistema previdenziale sono due, sostenibilità finanziaria nel medio-lungo periodo e adeguatezza delle prestazioni. Con riferimento al primo profilo proprio di recente la Ragioneria Generale dello Stato ha pubblicato le anticipazioni delle Tendenze di medio lungo periodo del sistema pensionistico e socio sanitario aggiornate al 2017. Dopo la crescita nel triennio 2008-2010, imputabile esclusivamente alla fase acuta della recessione, il rapporto fra spesa pensionistica e pil risente negativamente dell’ulteriore fase di recessione degli anni successivi e, segnatamente, della contrazione del pil per il triennio 2012-2014. A partire dal 2015-2016, in presenza di un andamento di crescita più favorevole e della prosecuzione graduale del processo di innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento, il rapporto fra spesa pensionistica e pil è atteso decrescere nel primo quinquennio e attestarsi attorno al 15,4-15,5% successivamente fino al 2019, per effetto del contenimento esercitato sia dall’innalzamento dei requisiti di accesso al pensionamento sia dall’introduzione del sistema di calcolo contributivo, i quali superano abbondantemente gli effetti negativi indotti dalla fase iniziale della transizione demografica. Negli anni successivi, si apre una nuova fase di crescita che porta il rapporto al 16,3%, nel 2044. Da qui in poi, il rapporto spesa/pil scende rapidamente attestandosi al 15,6% nel 2050 ed al 13,1% nel 2070, con una decelerazione pressoché costante nell’intero periodo. Tema di particolare delicatezza è quello legato all’adeguatezza delle prestazioni, soprattutto se rapportato con le giovani generazioni. Il tema non è solo italiano. In ambito internazionale va citata in primo luogo l’Indagine annuale sull’occupazione e sugli sviluppi sociali in Europa (Esde) della Commissione europea che, al di là del progresso economico e sociale generale, evidenzia come sulle generazioni più giovani grava un onere particolarmente elevato dal momento che tendono ad avere più difficoltà a ottenere un posto di lavoro e si trovano più spesso in forme di occupazione atipiche e precarie come i contratti temporanei, che possono comportare una minore copertura previdenziale. Con tutta probabilità, prosegue il rapporto, percepiranno inoltre pensioni più basse in rapporto alla remunerazione . Andando ai confini nazionali , così come ricordato dall’Istat in una recente Audizione in Parlamento, le difficoltà dei giovani in età attiva dipendono soprattutto dalle difficoltà di ingresso e di permanenza nel mercato del lavoro. Le generazioni di giovani che si sono affacciate sul mercato del lavoro nei decenni scorsi sono state inoltre caratterizzate da tempi, modalità di ingresso e di permanenza differenti rispetto a quelli delle generazioni precedenti. Le riforme del mercato del lavoro che si sono susseguite a partire dagli anni ‘90 hanno fatto crescere poi significativamente il peso del lavoro atipico (dipendenti a tempo determinato, collaboratori o prestatori d’opera occasionale), il quale ha interessato prevalentemente le generazioni più recenti. Questi andamenti si ripercuotono sull’adeguatezza delle future pensioni disponibili essendo il metodo di calcolo contributivo la fotografia della vita lavorativa. A titolo esemplificativo, osservando le previsioni effettuate dalla Ragioneria Generale dello Stato, nel 2010 il tasso di sostituzione netto (indicatore di adeguatezza che misura di quanto il reddito disponibile di un lavoratore si modifica a seguito del pensionamento) per un lavoratore dipendente è stato pari all’82,8% dell’ultima retribuzione, mentre nel 2060 tale percentuale sarà ridotta al 72,5%, a parità di requisiti contributivi. Periodi di discontinuità lavorativa ridurrebbero ulteriormente il tasso di sostituzione. Il tema è oggetto di forte attenzione politica essendo uno dei driver del tavolo di concertazione 4.0 in corso tra Governo e Sindacati in cui si discute della possibilità di introdurre una “pensione minima di garanzia” nel contributivo. Nella Relazione annuale dell’Inps si propone poi di coprire almeno in parte il rischio previdenziale dei giovani fiscalizzando una componente dei contributi previdenziali all’inizio della carriera lavorativa per chi viene assunto con un contratto a tempo indeterminato. Si opererebbe così un trasferimento dai lavoratori più anziani e dai pensionati verso i giovani e assicurerebbe sin d’ora uno zoccolo minimo di pensione a chi inizia a lavorare, oltre ad incoraggiare le assunzioni a tempo indeterminato. Va anche sottolineato come siano state presentate due proposte di legge costituzionali che intervengono sull’articolo 38 della Costituzione introducendo , proprio a tutela dei giovani, i principi di equità, ragionevolezza e non discriminazione tra generazioni. In attesa di meglio comprendere come si evolverà il nostro sistema obbligatorio, quello che appare assolutamente necessario e, nel caso dei giovani assunti non rinviabile è la adesione alla previdenza complementare. L’adesione ad un fondo pensione consente infatti al giovane di diversificare il proprio rischio previdenziale affiancando ad una pensione obbligatoria che rivaluta i contributi versati in base al pil un investimento che beneficia dell’andamento dei mercati finanziari. Quella che è la precondizione è che la adesione sia consapevole, sapendo cioè cosa sono e come funzionano le forme di previdenza complementare e scegliendo la line più coerente con il proprio profilo di rischio/rendimento e il proprio orizzonte temporale (vale a dire la distanza dal pensionamento). Di notevole rilevanza poi i benefici fiscali, dalla deducibilità dei contributi alla tassazione ridotta della prestazioni , con imposta sostitutiva del 15 per cento che si riduce dello 0,30 per ogni anno di durata superiore al quindicesimo fino ad un minimo del 9 per cento, e non con tassazione Irpef come avviene per gli assegni pensionistici di natura obbligatoria.
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