Limiti a richieste di risarcimento agli amministratori
di Giuseppe Ripa e Alessandro Lattanzi

Responsabilità degli amministratori attenuata. E’ quanto emerge dalla lettura combinata della legge delega sulla riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza con l’ordine del giorno G2.100 laddove si tocca questo tipo di responsabilità sulla quale molti curatori o i terzi in genere si avvinghiano per apportare più attivo a vantaggio della massa.

Il comma 5 dell’art. 7 delle legge delega fissa la legittimazione del curatore a promuovere o proseguire l’azione di responsabilità mentre la lettera e) del comma 1 dell’art. 14, prevede che siano fissati i criteri di quantificazione del danno risarcibile nella predetta azione. Sulla questione le letture sono le più fantasiose e forse le meno aderenti a alla realtà fattuale, che tende ad identificare la misura del danno nella sua effettività e non a spanne o rifacendosi agli insegnamenti dei Sumeri (differenza tra attivo e passivo fallimentare). Ecco allora che l’ordine del giorno appena richiamato si sofferma compiutamente sulla questione in considerazione del fatto che, come precisa l’ordine del giorno G2.101, la commissione ha licenziato per l’assemblea il testo del disegno di legge n. 2681 nella sua integrità per velocizzarne l’approvazione definitiva.

Innanzitutto, si dice, un conto è l’insolvenza dovuta alla crisi per motivi oggettivi e sfavorevoli del mercato ed altro è quella protrattasi a seguito di negligenza dell’attività da parte degli amministratori. Sul punto occorre fare una doverosa considerazione. All’amministratore è delegata la gestione esclusiva della società (primo comma dell’art. 2381 c.c.). Egli dunque deve agire osservando la legge e lo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle sue specifiche competenze. La violazione ditali doveri (pressoché illimitati) fa scattare la responsabilità verso la società per i danni arrecati da una gestione poco attenta. Distinguere tra attività negativa dovuta alla crisi del mercato da quella negligente, sembra essere un esercizio sterile che non porta da nessuna parte. Anche la crisi del mercato può essere preventivata con una buona analisi macro e micro economica. Quale amministratore si azzarderebbe oggi ad affrontare una operazione di peso senza avere in mano una attestazione professionale di attendibilità? La perdita di un cliente importante, l’abbandono di un mercato rilevante, il subentro di un concorrente aggressivo, ecc. sono certamente sintomi di una crisi che ben potrebbe essere affrontata con la diligenza media di un amministratore. In caso contrario non può che parlarsi di gestione negligente.

Detto questo in quanto foriero di responsabilità scriminante (non c’è se la negligenza è riconducibile ad eventi imprevedibili di mercato; esiste se l’attività la si prosegue nonostante tutto), le premesse consentono di definire con maggiore chiarezza le ipotesi di responsabilità degli amministratori, che sarebbero perseguiti solo in caso di effettività e comprovati comportamenti illeciti, con la completa esclusione da qualsiasi addebito nel caso in cui invece il dissesto dell’impresa sia causato da fattori economici oggettivi e non dipenda da leggerezze nella gestione patrimoniale della stessa. A questa premessa fa seguito l’invito al Governo a valutare la opportunità di individuare strumenti che consentano di eliminare o, quantomeno, di attenuare la responsabilità degli amministratori che nella prolungata fase della crisi hanno agito con diligenza per la salvaguardia della continuità aziendale. Anzi, si precisa subito dopo, occorrerebbe individuare misure volte a codificare a livello normativo, con l’ausilio di criteri oggettivi, la differenza tra insolvenza dovuta alla crisi e quella protrattasi a seguito di negligenza della attività da parte degli amministratori.

Si tratta di indicazione basate su un crinale pericoloso ed eccessivamente astratto.

L’amministratore dovrà provare di essere stato diligente ed attento nelle sue scelte e di non aver commesso errori rilevanti. Ma anche oggi è su questo che si accentra la difesa dell’amministratore chiamato in causa, con le difficoltà a tutti note di affrancarsene. In una attività societaria minata nel suo percorso è difficile scriminare tra atti di gestione tesi a salvaguardare la continuità e quelli che invece non lo sono o che anzi sono dannosi per la stessa. Forse si dimentica che l’attuale legge fallimentare sanziona il comportamento degli amministratori che hanno concorso a cagionare o ad aggravare il dissesto della società con la inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge.

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