Da lunedì scorso fino a domenica, promossa dallo Iosco (l’unione delle Consob europee), è iniziata la Settimana mondiale dell’investitore alla quale aderisce anche l’Italia, al fine di promuovere la diffusione dell’educazione finanziaria, tema che per l’Italia ancora un punctum dolens. Per un lungo tempo, ci si è limitati alla triste constatazione dell’arretratezza, alla denuncia e alla manifestazione di buoni propositi. Poi, è iniziata una fase nuova. La Banca d’Italia si è prodigata da tempo su questa materia; l’Abi ha istituito una Fondazione ad hoc; la Consob ha, pure essa, avviato specifiche iniziative; un certo impegno si osserva, altresì, in un numero, per ora limitato, di banche. Di recente, è stato istituito presso il Tesoro un Comitato per l’educazione finanziaria, va, però, segnalato che una proposta, formulata in una delle sue prime uscite pubbliche, dal suo presidente, Annamaria Lusardi, non ha convinto affatto: ci si riferisce all’ipotesi dell’istituzione di un patentino per potere operare, come risparmiatore o probabilmente anche come prenditore di credito, con un intermediario bancario o finanziario. Ma introdurre quello che diventerebbe un nuovo passaggio burocratico servirebbe soltanto a complicare le relazioni con gli intermediari e a far nascere nuove organizzazioni preposte al rilascio del documento. Immaginando soluzioni del genere, si rischia che, pur non volendolo, implicitamente passi il messaggio secondo il quale un eventuale danno subito dal risparmiatore sia in larga parte colpa dello stesso risparmiatore. Lo sforzo dovrebbe essere mirato, invece, da un lato, a un coordinamento tra le diverse iniziative avviate, istituzionali e non, e dall’altro, a imprimere un’accelerazione al processo di diffusione agendo nelle scuole, stabilendo convenzioni con le organizzazioni di categoria, articolando la presenza sui mezzi di comunicazione di massa, producendo pubblicazioni agevolmente comprensibili. L’optimum sarebbe la presenza della materia dell’alfabetizzazione finanziaria nei programmi scolastici di ogni ordine e grado, e occorrerebbe agire anche nei luoghi di lavoro. Ma perché le molteplici iniziative di questo tipo risultino efficaci, c’è bisogno che l’educazione finanziaria non si confonda con tutto ciò che, invece, spetta fare agli intermediari; anzi, un valido programma di alfabetizzazione presuppone l’applicazione in pieno, la più scrupolosa, delle norme sul ruolo della banca, sulla correttezza, trasparenza, diligenza, nonché sull’ampio informare e accortamente consigliare da parte di chi opera con la clientela. Viene, qui, in ballo la caterva di norme al riguardo insieme con quelle di prossima entrata in vigore, per es. la Mifid 2. E viene in rilievo il ruolo degli operatori che non possono essere sottoposti (e come, invece, non vuole il codice etico di recente definizione), a direttive men che scrupolose da parte delle figure dirigenziali sovrintendenti a tale operatività. Insomma, dall’educazione finanziaria si passa agli obblighi delle banche: l’una è strettamente collegata agli altri. E un programma di alfabetizzazione valido dovrebbe essere in grado di suonare tutti i tasti della tastiera. In primo piano è, comunque, legittimo attendersi una sempre più efficace azione delle Authority. (riproduzione riservata)
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