di Roberta Castellarin e Paola Valentini
Le private banker in Italia sono ancora poche. Ma hanno in media portafogli più ricchi dei colleghi uomini e una capacità di relazione che potrà dare loro una marcia in più con l’arrivo della Mifid 2. Se l’obiettivo della normativa è far sì che i portafogli siano costruiti in base agli obiettivi del cliente, saperli individuare è fondamentale. E in questo molte private banker si sentono più forti dei loro colleghi uomini. Come emerge dall’inchiesta di MF-Milano Finanza, che ha individuato le top banker italiane delle principali reti e banche specializzate e le ha incontrate per scoprire i loro lati più nascosti perché, si sa, quello del privare banking è un mondo dove la riservatezza è tutto per conquistare la fiducia dei clienti.

In Banca Fideuram le top banker che hanno un portafoglio sopra 100 milioni di euro sono Caterina Bandoni, Nevia Salviato, Laura Corti e Antonella Lambri. Mentre in Banca Mediolanum , a quota 110 milioni di masse, c’è Monica Lanzi che dal 2017 è anche diventata wealth advisor per la regione Lombardia. Per Banca Generali i nomi sono quelli di Annalisa Dall’Aglio, Margherita Masera e Stefania Lambri. Mentre tra le professioniste più senior di Ubs Italia spiccano Luisella Rudi, Gabriella Delucchi e Susanna Romeo.

Le accomuna una lunga esperienza nel settore, ma anche la scelta di trovare un giusto mix tra opportunità offerte dalla tecnologia e metodi più tradizionali per fidelizzare il cliente. Se il digitale permette di dare risposte tempestive, organizzare eventi o incontri anche al di fuori dell’attività di consulenza aiuta a consolidare il rapporto con i clienti. «Se si guarda alle classifiche dei migliori banker delle diverse realtà si scopre che nelle prime posizioni ci sono spesso donne sia nelle realtà italiane sia in quelle estere», dice Marco Mazzoni, a capo della società di consulenza specializzata sul private banking Magstat. Non solo. Rispetto ai colleghi sono più fedeli alle società. «Nel valutare la società non guardano solo all’aspetto economico e tendono a non spostarsi molte volte durante la loro carriera», aggiunge Mazzoni. Che sottolinea come questo sia un aspetto apprezzato anche dai clienti, insieme alla tendenza a correre pochi rischi. «I clienti di fascia alta hanno come primo obiettivo quello della conservazione del patrimonio e apprezzano questa maggiore prudenza che spesso caratterizza le banker», aggiunge Mazzoni.

Daltronde le donne private banker hanno alcune caratteristiche distintive. Come spiega Antonella Massari, segretario generale dell’associazione italiana del private banking (Aipb): «Dai risultati della nostra indagine Take care of your Private Banker riusciamo a tracciare un profilo molto interessante della popolazione femminile che esercita questa professione». Massari aggiunge che «pur rappresentando solo circa il 20% del campione, abbiamo di fronte donne che hanno mediamente un buon livello di istruzione e che prima di diventare private banker hanno ricoperto posizioni di rilievo come gestore del segmento affluent e upper-affluent, direttore o vice-direttore di filiale». Dallo studio dell’Aipb si delinea una figura professionale molto qualificata e con esperienza, capace di gestire un portafoglio clienti di dimensioni mediamente più ampie di quello dei colleghi uomini (76 milioni di euro contro 71 milioni) e ristretto a un numero inferiore di nuclei famigliari con una disponibilità di patrimonio più alta (77 contro 99 nuclei mediamente seguiti dai private banker uomini).

«Dal punto divista delle attese e delle prospettive professionali le donne sono sicuramente più esigenti. Quando riflettono sul ruolo del private banker, dipingono una figura che deve essere molto competente e capace nella gestione della relazione con la clientela e per farlo si aspettano un adeguato supporto da parte della banca in termini di formazione e strumenti», aggiunge Massari.

Le attese di una figura così attenta e, in un certo senso, ambiziosa sono forse più difficili da soddisfare. «Vediamo infatti che il livello di soddisfazione delle donne è generalmente più basso rispetto a quello degli uomini. In particolare sono meno soddisfatte della formazione che ricevono, degli strumenti e dei supporti messi a disposizione dalla banca e delle aspettative legate al profilo professionale», continua Massari. Come in altri campi anche nel private banking le donne fanno fatica a rompere il tetto di cristallo. «Particolare attenzione merita il tema della retribuzione, per la quale esprimo altrettanta insoddisfazione: le donne hanno mediamente una retribuzione fissa inferiore del 20% circa rispetto a quella degli uomini», aggiunge Massari.

Ma quali sono i consigli di chi svolge questo mestiere da anni? «A un giovane che oggi vuole intraprendere la professione suggerisco di non avere fretta. Il rapporto tra private banker e cliente è basato sulla fiducia che si costruisce negli anni, con l’esperienza e la conoscenza», sottolinea Stefania Nava, private banker e vice responsabile della filiale di Milano di Banca Leonardo .

Tra le doti più importanti ci sono sicuramente una buona preparazione tecnica sui mercati finanziari e l’attitudine a comprendere le esigenze del cliente e la sua propensione al rischio. Ma non è soltanto questo a fare la differenza e far sì che la strada verso la costruzione di un portafoglio di peso sia il più agevole possibile per il banker. «È necessario avere un supporto di professionisti e di esperti che aiutino il private banker ad affrontare le tematiche correlate a questa professione, da quelle successorie, ai profili fiscali, immobiliari e assicurativi», sottolinea Nava. Non solo, servono anche anni di esperienza per affrontare le difficoltà di questa professione. Che per Nava sono principalmente due: il ricambio generazionale, con una nuova leva di clienti che si affaccia al private banking e un mercato sempre più difficile in un momento di tassi a zero mai affrontato nel passato. «Ricambio generazionale vuol dire riuscire a catturare la fiducia dei clienti di seconda generazione, cresciuti in un mondo diffidente nei confronti delle banche e in un mercato sempre più globalizzato e dominato dalla tecnologia. In questa situazione il private banker deve essere sempre al passo con i tempi per evitare di essere disintermediato», spiega Nava. E qui il riferimento va alle novità che il fintech porta con sè, a partire dai robo-advisor.

Il private banking si deve infatti aprire all’innovazione per restare competitivo. E la tecnologia digitale sta di fatto cambiando il ruolo dei consulenti finanziari. Il futuro advisor è destinato a diventare un coach, che aiuta i clienti a capire le diverse opportunità di investimento e li supporta nei momenti più difficili del mercato. Contemporaneamente la tecnologia permetterà ai consulenti di seguire più clienti rispetto a quanto avveniva finora. Nello studio L’industria dell’asset management nel 2020 di PwC si ricorda che «i player del wealth management potranno fare leva sugli strumenti analitici e sui nuovi modelli digitali per una più efficiente gestione dei costi e una rimodulazione della propria offerta, includendovi soluzioni rivolte alla clientela più giovane, con forte propensione alla gestione diretta dei propri investimenti». PwC suggerisce che queste soluzioni consentiranno quindi una gestione più dinamica della clientela esistente, nonché l’incremento della base clienti. Uno studio realizzato da Morgan Stanley sulla robo-advisory, la consulenza on-line, ricorda che la tecnologia può intervenire soltanto in alcune fasi del servizio e dunque il fattore umano resta fondamentale. E sulla scelta tra uomo e donna? «Alla fine è il cliente che decide se preferisce essere seguito da un uomo o da una donna in base alle sue esigenze. Io lavoro da 25 anni in team con un collega e abbiamo trovato un equilibrio che è nato proprio dal diverso e complementare approccio nei confronti della clientela», conclude Nava.
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