di Anna Messia
Il mattone torna ad avere una posizione importante nel portafoglio degli italiani. Certo, non siamo alla passione irrefrenabile degli anni 2004-2006, quando addirittura il 70% dei risparmiatori considerava l’immobile l’investimento ideale preferendolo alla liquidità, alle polizze o ai fondi. Ma, come emerge dal sondaggio Acri-Ipsos presentato ieri, il 2017 è il terzo anno consecutivo di crescita dell’interesse degli italiani verso gli immobili, che ha raggiunto il 31% delle preferenze rispetto al minimo storico del 24% toccato nel 2014. La crescita dell’interesse verso l’immobiliare si registra soprattutto nel Nordest (29% contro il 23% del 2016) e al Centro (35% contro il 30%). Nonostante l’aumento il mattone non è però ancora tornato ad essere l’investimento in cima alla classifica, visto che il 33% degli italiani che riesce ad accumulare risparmi preferisce spenderli o mantenerli in liquidità.

Dal sondaggio, arrivato alla 17esima edizione (e che come di consueto viene presentato alla vigilia della Giornata mondiale del risparmio organizzata dall’Acri che si terrà oggi a Roma), arrivano poi dati confortanti per quanto riguarda la situazione economica delle famiglie: gli intervistati che dicono di essere stati colpiti dalla crisi sono meno di uno su cinque, ovvero il 19% contro il 28% del 2016. Il 77% dice invece di non aver avuto problemi legati alla perdita di lavoro e neppure a ritardi o a tagli dello stipendio proprio o di un familiare (l’anno scorso era del 64%). In ogni caso l’uscita dalla crisi appare decisamente lenta e caratterizzata da una polarizzazione sempre più marcata tra Nord e Sud del Paese.

In Italia «si sta uscendo dalla crisi degli anni scorsi e si comincia a risparmiare», ha detto il presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti durante la conferenza stampa di presentazione della ricerca Ipsos. Rispetto allo scorso anno, nel 2017 «c’è anche un aumento dei consumi che si accompagna a una minore tensione sul risparmio; quest’anno qualche meno diventa più, alcune famiglie hanno potuto risparmiare e altre hanno potuto chiudere il proprio bilancio risparmiando. Rimangono però delle zone d’ombra e il divario Nord-Sud», ha osservato Guzzetti. L’uscita definitiva dalla crisi (tuttora percepita come grave dall’83% degli italiani) secondo il 38% degli intervistati avverrà solo nei prossimi tre o quattro anni (percentuale che lo scorso anno era il 33%), mentre secondo il 50% del campione serviranno addirittura tre o cinque anni. La situazione economica dell’Italia viene poi percepita positiva da una percentuale decisamente bassa di italiani, appena il 20%, mentre vengono considerati avvantaggiati tutti gli altri Paesi, non solo in Nord America e nel resto d’Europa, ma anche in Medio Oriente e Africa.

Più ottimismo emerge quando si chiedono informazioni personali, anche se la polarizzazione nel Paese è evidente: guardando alla propria situazione il 56% degli intervistati si dice soddisfatto della posizione economica (nel 2016 era il 51%), con punte che raggiungono il 69% nel Nordest, ma il dato nel Sud e nelle Isole cala al 43%, addirittura in peggioramento rispetto al 46% di un anno fa.
Guardando invece all’Europa, a sorprendere nell’analisi Ipsos è che nel momento di massima difficoltà dell’Unione, dopo la Brexit e le tensioni catalane, sembra tornato un certo attaccamento degli italiani al disegno europeo, nonostante le forti delusioni legate soprattutto alla moneta unica. Coloro che hanno fiducia nell’Ue tornano a essere la maggioranza (51%) anche se di poco (il 49% dice di non avere fiducia). Ma anche in questo caso si tratta di un dato non del tutto positivo: coloro che non hanno per nulla fiducia sono il 24%, molti di più di chi (17%) dice invece di aver grande fiducia, e dal 2009 a oggi i più ottimisti verso l’Europa sono arretrati di ben 18 punti. Due italiani su tre si dicono insoddisfatti dell’euro e il giudizio sulle regolamentazioni imposte ai singoli Paesi da Bruxelles è negativo per il 56% degli intervistati. Ma allo stesso tempo per la maggioranza degli italiani (62%) senza l’Ue l’Itala sarebbe più arretrata e meno importante sulla scena internazionale (60%), oltre che più povera (42%).

Tornando ai consumi, il numero degli italiani propensi al risparmio rimane estremamente elevato, pari all’86%, ma prevalgono coloro che ritengono sia bene non fare troppe rinunce e cresce la quota di chi preferisce godersi la vita senza pensare a risparmiare: il 12% rispetto al 9% del 2015. Gli italiani poi sono abbastanza soddisfatti di come gestiscono i propri risparmi (54%); il 67% li mantiene stabilmente liquidi e pochi si ritengono in grado di individuare l’investimento adatto alle proprie esigenze (il 36%). Questo è dovuto alla ridotta cultura finanziaria e alla bassa fiducia in leggi e regolamenti che tutelano il risparmio: il 66% ritiene che gli strumenti di tutela siano inefficaci (dato preoccupante anche se in miglioramento rispetto al 74% del 2016). Le crisi bancarie hanno poi fatto scendere al minimo storico la fiducia degli italiani verso gli istituti (21%). Ma se la domanda viene riferita alla propria banca la fiducia sale al 64%, anche se in riduzione di dieci punti rispetto al 2016. (riproduzione riservata)

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