Troppe disuguaglianze. Anziani in aumento
di Manola Di Renzo

Disuguaglianze presenti e future. Il periodico rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, reso disponibile la scorsa settimana, ha certificato, semmai ce ne fosse ulteriore bisogno, che la forbice delle disuguaglianze sia sociali sia generazionali si sta, irrimediabilmente, allargando.

Il report «Preventing Ageing Unequally», come dice il nome stesso, vuole prevenire l’incremento delle disuguaglianze parallelamente all’invecchiamento: ebbene l’Istituto europeo palesa che in Italia, nel corso degli ultimi trent’anni, i livelli economici delle generazioni più mature sono aumentati in maniera maggiore rispetto a quelli dei giovani. «Penso che un dato sia emblematico su tutti per comprendere la gravità della situazione: ovvero il tasso di occupazione.

Questo, infatti, è precipitato, tra il 2000 e il 2016, dell’11% tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni, è lievemente cresciuto nella fascia d’età immediatamente successiva, ovvero quella tra i 25 e i 50 anni, ma è letteralmente esploso per la classe più matura (55-64 anni, ndr). Naturalmente il dato risente delle misure conseguenti l’intervento del ministro Fornero, che, come si ricorderà, ha «congelato» l’iter pensionistico di coloro che erano più prossimi all’ottenimento dei requisiti definitivi per il meritato ritiro», sottolinea il presidente del Cnai, Orazio Di Renzo.

I giovani italiani hanno dinanzi, pertanto, un insormontabile ostacolo sociale che impedisce loro di trovare soluzioni lavorative valide e che non siano posizioni atipiche. A ciò si deve aggiungere un ulteriore handicap riservato alle nuove generazioni: le rilevazioni dicono che, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, il gap generazionale ha interessato anche il reddito tout court. «Qualcosa di scandaloso deve essere accaduto in quegli anni, fatti di debito pubblico alle stelle e spese pubbliche piuttosto allegre, se da allora il reddito della popolazione tra i 60 e i 64 è aumentato del 25% se raffrontato a quello della fascia tra i 30 e i 34 anni. Soprattutto se consideriamo che tra i 35 Paesi sotto esame dell’Organizzazione con sede a Parigi, il medesimo indice è cresciuto appena del 13%», analizza il presidente Di Renzo.

Grazie all’Ocse si comprende come i giovani siano ora vittime di una disuguaglianza maggiore, non solo di quella vissuta dai propri padri, ma anche dei propri nonni alla medesima età. «Un fardello di ineguaglianze che, gioco forza, si tradurrà in una disparità crescente nei trattamenti pensionistici futuri (le disuguaglianze, in Italia, hanno un tasso di crescita proporzionale a quello della vita lavorativa vicino al 100%, ndr). Nel nostro Paese questo accade perché, come evidenziato dall’Ocse, manchiamo proprio di una forte rete di sicurezza sociale. E le mancanze dei governi degli ultimi anni, in questa materia, non fanno preventivare contromisure efficaci nell’immediato», sintetizza il presidente Di Renzo. Le pessime notizie per il Bel Paese non terminano certo qui: le criticità finora presentate non potranno che acuirsi nel corso di prossimi decenni. Ciò sarà conseguenza non tanto di una questione politica, quanto essenzialmente demografica. Tra poco più di trent’anni, nel 2050, è previsto che si registri, per l’Italia, il terzo posto nella classifica mondiale delle nazioni con il maggiore numero di persone anziane: coloro che supereranno i 65 anni saranno 74 ogni 100 persone di età tra i 20 e i 64 anni. Oggi sono 38 ogni 100 abitanti 20-64 anni, e nonostante il dato, si riscontrano comunque evidenti limiti alla sostenibilità del sistema previdenziale. Le donne, poi, sembrano pagare, ancora una volta, un prezzo anche maggiore rispetto agli omologhi maschili: in primis a causa di un tasso di occupazione che è di 20 punti percentuali inferiore rispetto a quello maschile. «Dai dati si evince, però, un’indiretta nota positiva: ovvero che la formazione e l’istruzione sono due vie di emancipazione proficuamente sfruttabili da parte dei nostri giovani. Infatti l’Ocse rileva che il tasso di occupazione di individui con istruzione elevata, supera il 78%; mentre chi ha un livello d’istruzione basso non arriva al 34%. Magra consolazione che però non lenisce la necessità indifferibile di una decisa inversione di rotta, da determinarsi nelle Stanze dei Bottoni», conclude il presidente Di Renzo.
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