di Rebecca Carlino

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In quest’ autunno caldo per le banche italiane una buona notizia arriva dal mondo del risparmio gestito. La raccolta dell’asset management ha ripreso a correre dopo un primo semestre in rallentamento rispetto ai dati record dell’anno scorso. Da gennaio ad agosto il flusso netto è stato 37,9 miliardi di euro: 19,1 frutto della raccolta delle gestioni di portafoglio e 18,8 delle gestioni collettive. Il patrimonio complessivo ha raggiunto 1.910 miliardi, di cui 991 miliardi sono investiti in gestioni di portafoglio e 918 in gestioni collettive.

Un recente studio di Credit Suisse dedicato alle banche italiane sottolinea l’importanza di tale recupero ricordando che le banche italiane hanno registrato una raccolta netta totale di 26,7 miliardi nel primo semestre 2016 contro i 91,9 miliardi di un anno prima. Il secondo trimestre è stato il più debole dal 2013 con una raccolta di soli 58 milioni, come conseguenza dell’incertezza sui mercati. Ma a luglio e agosto il trend si è invertito. «Il sistema ha registrato una raccolta netta positiva di 9,45 miliardi a luglio e agosto, di cui 3,3 miliardi raccolti da Intesa Sanpaolo e 800 milioni da Ubi», sottolinea il report Credit Suisse. «Nello stesso periodo Unicredit ha registrato una raccolta negativa per 700 milioni». Da inizio anno Intesa ha raccolto 11,9 miliardi, mentre Unicredit ha avuto una raccolta netta negativa per 400 milioni e Ubi un flusso positivo per 3,6 miliardi.

In questi giorni si è anche riacceso l’interesse sul dossier Pioneer, l’asset manager messo in vendita da Unicredit per il quale si sono fatti avanti diversi interessati, dalla cordata Poste-Cdp-Anima al colosso francese Amundi, da Macquarie ad Aberdeen. I finalisti dovrebbero presentare l’offerta vincolante entro il 3 novembre. Al gruppo di piazza Aulenti la cessione di Pioneer consentirà di fare cassa in ottica della revisione del piano strategico, che verrà presentata il 13 dicembre. Mentre per chi mantiene in casa la fabbrica-prodotto l’asset management potrà consentire di aumentare gli utili, dando entrate in un periodo in cui i margini di interesse sono schiacciati dai tassi bassi. E ciò sarà ancora più vero se ci sarà un cambiamento dell’asset allocation verso prodotti che danno maggiori margini o che consentono di stabilizzare la raccolta.

Dai dati Assogestioni emerge che ad agosto oltre 4,1 miliardi sono stati raccolti dai fondi di lungo termine, che portano così il bilancio da inizio anno a quota 19,2 miliardi. La parte del leone la fanno i fondi flessibili, che in 9 mesi hanno raccolto 10,5 miliardi, mentre i prodotti obbligazionari hanno registrato flussi positivi per 7,8 miliardi. E proprio sulla composizione dei portafogli degli italiani e su un confronto con quelli degli altri Paesi europei si sofferma Credit Suisse nella sua analisi. Sottolinea che l’asset allocation della ricchezza delle famiglie italiane offre occasioni interessanti per chi opera nel settore. In base ai dati Abi gli attivi delle famiglie italiane si attestano a 4.047 miliardi; il 32% è investito in cash e depositi, il 10% in bond (di cui un 4% è rappresentato da emissioni di banche italiane), il 22% in azioni, l’11% in fondi comuni e il 21% in polizze Vita e fondi pensione.

Il Credit Suisse avverte che la quota importante ricoperta dalle azioni non è dovuta a un’alta propensione al rischio degli italiani ma al fatto che molte famiglie hanno investito nella loro azienda. La quota destinata a fondi pensione e polizze è cresciuta al 21% dal 19% del 2014, ma il confronto con gli altri Paesi europei mostra come ci sia margine di crescita per il business delle polizze Vita e dei fondi pensione. «Le banche italiane e gli altri attori del mondo del risparmio possono trarre vantaggio dalla bassa penetrazione di questi prodotti per aumentare la raccolta e allocarla in prodotti che offrono margini più alti», segnala infatti il report.

Il confronto con quanto accade nel resto d’Europa indica questa direzione. In Francia a fine 2015 la ricchezza delle famiglie si attestava a 4.869 miliardi, di cui il 28% investito in depositi, l’1% in corporate bond, il 21% in azioni, il 7% in fondi e il 34% in fondi pensione e polizze Vita. In Germania la ricchezza era pari a 5.482 miliardi, di cui il 39% in depositi, il 3% in corporate bond, il 10% in azioni, il 10% in fondi comuni e il 31% in fondi pensione e polizze Vita. La ricerca sottolinea che il gap per i prodotti destinati al welfare è ancora molto ampio e offre una grande opportunità per l’industria del risparmio. D’altronde in Italia la necessità di costruire per tempo un’integrazione alla futura pensione è più che mai d’attualità.

Se con l’annuncio dell’anticipo pensionisto (Ape) il governo ha dato una risposta a chi si era visto allontanare di diversi anni l’età pensioabile a causa della riforma Fornero, difficilmente potrà fare interventi generosi per chi oggi ha 30-40 anni e dovrà confrontarsi con un sistema interamente contributivo. L’assegno sarà magro e lontano; da qui la necessità di iniziare fin da ora a effettuare investimenti che consentano di integrarlo al momento dell’addio al lavoro. (riproduzione riservata)
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