di Paola Valentini
Al giro di boa dei nove mesi i fondi pensione negoziali battono il trattamento di fine rapporto che per via dell’assenza di inflazione nel periodo si è rivalutato dello 0,99% netto (il Tfr in azienda rende l’1,5% fisso all’anno più il 75% dell’inflazione Istat).
In base ai rendimenti raccolti da Milano Finanza su un campione che copre oltre l’85% del mercato, i negoziali hanno chiuso il periodo gennaio-settembre 2016 con un rendimento medio netto dell’1,77%, ancora in progresso rispetto all’1% messo a segno nel primo semestre. Per i fondi pensione aperti il risultato dei nove mesi è stato dello 0,85% (dati Fida), poco sotto la rivalutazione del Tfr per via del maggior contenuto azionario delle loro linee che sono state quindi penalizzate dal non brillante andamento di alcuni listini europei, tra cui Piazza Affari (l’ìndice Ftse Mib segna il -23% da inizio anno). In ogni caso i fondi aperti hanno trovato a fine settembre il segno più visto che avevano chiuso i primi sei mesi con un rendimento negativo (-0,4%) perché le turbolenze di borsa si sono concentrate nella prima metà dell’anno.
In questo contesto non manca chi è riuscito a ottenere performance ben superiori alla media, fino oltre quattro volte il Tfr, quindi dal 4% in sù. Tra i negoziali, la linea bilanciata di Laborfonds (il fondo pensione dei dipendenti di aziende che operano nel Trentino Alto Adige) ha realizzato un rendimento del 4,61%. I gestori di questa linea sono Eurizon e BlackRock e il comparto ha diversificato nell’economia reale della regione investendo una quota del patrimonio nel Fondo Strategico Trentino Alto Adige specializzato in minibond delle pmi. In tempi di tassi a zero, sempre più fondi pensione stanno sperimentando nuove strade di investimenti per arricchire i portafogli tradizionalmente composti da obbligazioni e azioni. Tra questi ci sono strumenti alternativi, come i minibond, ma anche i Paesi emergenti, visto che il nuovo decreto sugli investimenti varato a fine 2014 (il 166/2014), ha allargato l’universo investibile dei fondi pensione. È questa ad esempio la strada seguita dal comparto Prudente di Fondapi (dipendenti delle piccole e medie imprese), che nei nove mesi ha reso il 4% ed è gestito da Pimco e Bnp Paribas per la parte obbligazionaria e da Anima Sgr e Nn Ip Sgr per la parte azionaria. Fondapi, alla luce del decreto 166/2014, ha definito le nuove linee guida dell’investimento introducendo la possibilità per il comparto Prudente di investire l’1,5% degli attivi in azioni e un altro 1,5% in bond Paesi emergenti, oltre a un 2,5% in obbligazioni high yield (basso rating).
Sopra il 4% di rendimento ci sono anche i comparti Prudente (4,12%) e Bilanciato (4,05%) di Telemaco (dipendenti delle aziende del settore telecomunicazioni). Anche questi due comparti nei mesi scorsi hanno introdotto un’esposizione ai mercati emergenti nella componente azionaria.
Tra i fondi aperti primo per performance nei nove mesi è il fondo Previsuisse Linea Garanzia (+5,22%) di Nationale Suisse Vita, la linea Giustiniano Obbligazionaria di Intesa Sanpaolo Vita (+5,01%) e Reale teseo Linea Prudenziale Etica di Reale Mutua (+4,98%). È bene ricordare che si tratta di rendimenti al netto dell’aliquota fiscale che per i fondi pensione è al 20%, superiore a quella del tfr che è invece tassato con aliquota al 17%. «I risultati delle forme pensionistiche complementari hanno risentito dell’andamento contrastato dei mercati finanziari nel primo semestre dell’anno. Le turbolenze hanno interessato soprattutto i titoli azionari; non ne hanno risentito i corsi obbligazionari, continuando a beneficiare dell’orientamento espansivo delle politiche monetarie adottate dalle banche centrali», spiega la Covip. Quanto alle adesioni ai fondi pensione, in base agli ultimi dati elaborati dalla commissione di vigilanza presieduta da Francesco Massicci, al 30 giugno 2016 gli iscritti sono 7,5 milioni, con una crescita nel primo semestre dell’anno di circa 280 mila unità, +3,9%.

Nel dettaglio, la platea degli iscritti ai negoziali è aumentata di 110 mila unità (+4,6%), attestandosi a fine giugno a quota 2,52 milioni. Ma l’aumento è stato quasi esclusivamente prodotto dalle adesioni al fondo Prevedi (il comparto dei lavoratori edili)che dal primo gennaio 2015 ha previsto un’iscrizione automatica di tipo contrattuale. Dal canto loro gli iscritti ai fondi aperti sono stati 50 mila in più nel semestre (+4,5%) per un totale a fine giugno di circa 1,2 milioni. Nei piani individuali pensionistici (pip) le adesioni sono 2,71 milioni, con un incremento di 120 mila unità (+4,6%) nei primi sei mesi del 2016, «confermando i segnali di rallentamento già osservati nel 2015», spiega Covip.
Quanto alle risorse in gestione,al 30 giugno il patrimonio accumulato dalle forme pensionistiche complementari ammonta a 143,7 miliardi di euro, +2,6% da fine 2015. Le risorse dei fondi negoziali sono 44,1 miliardi, in crescita del 3,6%. I pip dispongono di un patrimonio di 21,6 miliardi e i fondi aperti di 16 miliardi. L’incremento dall’inizio dell’anno è stato, rispettivamente, del 7,6 e del 3,6%. Alla fine del 2015, i fondi pensione sono in tutto 469: 36 negoziali, 50 aperti, 78 pip e 304 preesistenti. Con un patrimonio in gestione di 9,6 miliardi, il più grande fondo pensione italiano è il comparto negoziale, Cometa. Che ha oltre 400 mila iscritti e offre cinque linee di investimento. Da qualche giorno il fondo dei metalmeccanici ha nominato come nuovo presidente Maurizio Benetti che è stato cooptato in cda: «Il mio ingresso coincide con l’inizio di una nuova fase per il fondo, che ha da poco concluso il processo di rinnovo dei mandati di gestione, con l’obiettivo di fornire una risposta ancora più puntuale ed efficace alle esigenze previdenziali degli aderenti e di contribuire al sostegno dell’economia reale del Paese». Cometa, infatti, ha appena scelto i nuovi gestori per i prossimi cinque anni di tre dei suoi cinque comparti (Monetario Plus, Reddito e Crescita), per una capitalizzazione complessiva di 8,3 miliardi, circa un quinto delle risorse complessivamente gestite dai fondi negoziali. Le dimensioni di Cometa sono infatti un’eccezione dato che in Italia il numero di fondi di piccole dimensioni resta elevato. A fine 2015, in base ai dati Covip, solo 12 fondi hanno più di 100 mila iscritti e oltre la metà ha meno di mille iscritti. Ci sono dunque, come più volte auspicato dalla commissione di vigilanza, ampi spazi per un processo di concentrazione tra fondi per raggiungere dimensioni tali da poter essere più efficienti e sfruttare le economie di scala a vantaggio di una riduzione dei costi.
D’altra parte proprio quello dei costi è un capitolo rilevante a cui prestare attenzione nella scelta del fondo pensione. Per confrontare l’onerosità dei singoli comparti i fondi pensione e i pip devono calcolare e pubblicare l’Indicatore sintetico dei costi (Isc). Nella costruzione del dato vengono presi in considerazione tutti i costi applicati, con esclusione dei costi relativi a eventuali commissioni di incentivo e a commissioni di negoziazione nonché di quelli collegati a eventi o situazioni non prevedibili a priori (ad esempio, le spese legali e giudiziarie). L’Isc è riportato nella nota informativa di ciascun fondo. La Covip, inoltre, pubblica sul proprio sito (www.covip.it) l’elenco aggiornato con i valori dell’Isc di tutti i comparti di negoziali, aperti e pip. In media i negoziali hanno costi inferiori a quelli di fondi aperti e pip. Confrontando l’onerosità delle diverse forme pensionistiche, scrive la Covip nella sua Relazione annuale 2015, i negoziali si confermano competitivi: l’Isc medio si attesta all’1,1% su due anni di partecipazione per scendere allo 0,3% su 35 anni. Sulle stesse scadenze, l’Isc passa dal 2,3 all’1,2% nei fondi aperti e dal 3,8 all’1,8% nei pip. E dato l’orizzonte temporale di lungo periodo della previdenza complementare, differenze anche modeste nei costi hanno un impatto che può anche essere molto rilevante sulla posizione maturata dall’iscritto. Lo dimostra un esempio citato sempre dalla Covip nella sua relazione annuale: «Ipotizzando che su un periodo di 35 anni la pensione complementare che si può ottenere aderendo a un fondo negoziale sia pari a 5 mila euro all’anno, i costi medi più elevati dei fondi aperti e dei pip si traducono, a parità di altre condizioni, in una prestazione finale inferiore e, rispettivamente, pari a circa 4.200 e 3.900 euro». (riproduzione riservata)

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