di Gustavo Martini
«In sette anni la montagna ha partorito il topolino», ha giustamente detto lo scorso aprile sul Foglio Massimo Mucchetti, presidente della Commissione Industria del Senato, dove per mesi si è lavorato al disegno di legge sulla concorrenza. E ora c’è il pericolo che anche quel topolino muoia prima di nascere. La legge, attesa dal 2009, arriva finalmente in questi giorni all’esame di Palazzo Madama. Solo che tra i 700 emendamenti presentati ce ne sono molti che puntano a cancellare anche i pochi passi avanti compiuti fin qui, specie in campo assicurativo. Per esempio, c’è il pericolo che venga smentita l’abolizione del tacito rinnovo per le polizze del ramo Danni decisa dalla Commissione Industria dopo faticosi accordi. Infatti gli emendamenti di alcuni senatori del Pd – e si vocifera anche di un accordo di maggioranza – potrebbero ripristinare il regime precedente, molto meno favorevole per i cittadini. Solo per fare un paragone, l’abolizione del tacito rinnovo introdotta dal governo Monti in ambito Rc Auto ha ridotto i costi per gli utenti di diverse centinaia di euro.

Secondo i dati Ivass, anche se il costo medio in Italia resta superiore alla media europea, dal 2011 il divario si è quasi dimezzato (dai 234 euro in più del 2011 ai 145 attuali), con i prezzi che continuano a scendere (-7,5% nel 2015). Modificare la norma votata dalla Commissione, anche solo limitando alle aziende l’abolizione del tacito rinnovo per le polizze del ramo Danni ed escludendo i cittadini, oltre a essere una dimostrazione di incoerenza rispetto a quanto deciso solo pochi mesi fa, equivarrebbe a mantenere ingessato il mercato. Si tratterebbe di interventi «ad aziendam» in contraddizione con l’obiettivo della legge. Il disegno di legge sulla concorrenza, il primo del suo genere, ha avuto vita tormentata e difficile, come dimostra l’aumento degli articoli del testo, passati da 32 a 74. Certamente poteva essere più incisivo, ma come primo esperimento è importante che arrivi a conclusione senza ulteriori rinvii e dietrofront. Rompere gli accordi equivarrebbe a rimettere tutto in discussione. E se, come stima il Fmi, le liberalizzazioni possono far crescere il pil del 3,3% in 5 anni, è fondamentale concludere almeno questo primo passo del percorso.
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