Il contratto di assicurazione oggetto del presente giudizio includeva una clausola secondo cui “il contratto non è trasferibile su altro veicolo e in caso di cessione/vendita dell’autoveicolo a terzi viene pertanto a estinguersi automaticamente”.

Tale clausola contiene due proposizioni.

Il primo periodo costituisce una evidente deroga alla regola generale dettata dall’art. 1918 c.c., secondo cui l’alienazione delle cose assicurate non è causa di scioglimento del contratto di assicurazione.

Il secondo periodo, legato al primo dalla congiunzione “ed”, soggiunge che il contratto si scioglie in caso di “cessione/vendita”.

Le due parti della clausola contrattuale, giusta la previsione dell’art. 1363 c.c., si sarebbero dovute leggere unitariamente.

Lette unitariamente, le due proposizioni sopra trascritte sono con evidenza legate da un nesso logico di conseguenzialità: come a dire che siccome il contratto non può essere trasferito su altro mezzo dell’assicurato, di conseguenza si scioglie se l’assicurato vende il veicolo.

Ora, se la clausola in esame, letta integralmente, deroga all’art. 1918 c.c.; e se l’art. 1918 c.c., disciplina gli effetti della “alienazione” delle cose assicurate, il canone interpretativo di cui all’art. 1363 c.c. imponeva di concludere che per lo scioglimento del contratto era necessaria una uscita definitiva del mezzo dalla sfera di proprietà dell’assicurato, e non bastava la mera locazione, né il comodato o il noleggio.

L’interpretazione della Corte d’appello quindi, scindendo in due parti una clausola unitaria e privilegiando solo il secondo periodo, senza agganciarlo a quello dal quale era preceduto, ha effettivamente violato l’art. 1363 c.c.

Sussiste, in secondo luogo, la violazione dell’art. 1370 c.c.

Non può dubitarsi che la clausola di cui si discorre sia una clausola ambigua.

Il lemma “cessione”, riferito a un autoveicolo, è infatti a/tecnico e ambiguo, e non ce lo si aspetterebbe in un testo contrattuale che richiede un alto tasso di tecnicismo.

Il nostro ordinamento giuridico prevede infatti la cessione dell’usufrutto (art. 980 c.c.); del credito (art. 1260 c.c.); del contratto (art. 1406 c.c.); di capitali (art. 1.872 c.c.); dei beni ai creditori (art. 1877 c.c.); d’azienda (art. 2112 c.c.), ma non un generale istituto di “cessione” di beni patrimoniali, quale sinonimo di trasferimento della proprietà o del godimento.

Il lemma “cessione” è stato dunque usato nel contratto in modo a/tecnico e tecnicamente scorretto, dal che nasce l’ambiguità del testo negoziale; ambiguità che, giusta l’art. 1370 c.c., andava risolta a sfavore del predisponente.

Cassazione civile sez. III, 29/09/2016 n. 19299