di Andrea Giacobino

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È una dieta inorganica quella che attende nel brevissimo l’industria europea dell’asset management. Una dieta fatta di minori asset, minori margini e maggiori difficoltà a offrire prodotti che soddisfino la clientela in un perdurante contesto di tassi bassi. Switching to an inorganic diet è il titolo del corposo report di Goldman Sachs che prende in esame tredici asset manager europei quotati, tra cui gli italiani Anima Holding , Azimut , Banca Generali e Banca Mediolanum .

Un mondo con bassi rendimenti, anzitutto, crea quattro sfide per le società di asset management. La prima, forse la più preoccupante, è che la crescita dell’industria sarà di almeno 400 punti-base (4%) inferiore rispetto agli anni recenti; poi sarà sempre più difficile costruire prodotti attraenti del risparmio gestito attraenti; inoltre si verificherà una crescente pressione da parte di Etf e fondi a gestione passiva; e infine un’ulteriore pressione si scatenerà sulle commissioni, che mostrano già una tendenza a decrescere del 2% su base annua.

In questo scenario Goldman Sachs si aspetta una reazione da parte dei player del mercato secondo quattro direttive. Le società di asset management con un eccesso di capitale cercheranno di acquisire altre società per crescere nelle dimensioni e creare economie di scala in un processo di consolidamento globale dell’industria. Il tutto con l’obiettivo di rafforzare il loro accesso ai canali bancari che dominano la distribuzione dei prodotti finanziari in Asia e in Europa. E tra i gruppi in esame il francese Amundi è quello che più si candida a essere predatore, tanto che non a caso è entrato a gamba tesa nella partita per il controllo di Pioneer (vedere articolo a pagina 27).

Molti asset finanziari sono oggi assai cari in rapporto alle medie storiche: è dunque difficile che vi sia una loro rivalutazione nei prossimi anni. Tra il 2009 e il 2014, la crescita aggregata annua degli asset under management delle società di gestione è stata pari al 7,2%; tra il 2014 e il primo trimestre del 2016 è nettamente scesa al 2,6%. Nei prossimi anni, visto che gli asset sono già molto cari e una loro rivalutazione è difficile, la crescita delle masse sarà probabilmente guidata in buona parte da nuovi flussi di raccolta e il tasso aggregato di crescita potrà attestarsi attorno al 6% annuo, decisamente meno del 10% circa del quinquennio precedente. In termini di nuovi flussi, le case di gestione europee hanno un potenziale di crescita se riusciranno ad attirare risorse dagli asset presenti sui conti correnti e conti di deposito del Vecchio Continente (5.800 miliardi di euro) o presenti nelle polizze assicurative dove sono investiti 8.200 miliardi. Soltanto sottraendo l’1% degli asset presenti sui depositi bancari la nuova raccolta dei fondi comuni può essere pari a 58 miliardi. Sottraendo invece l’1% degli asset presenti nelle polizze assicurative i nuovi flussi di raccolta possono essere pari a 82 miliardi. In totale, il potenziale di nuova raccolta supererebbe i 140 miliardi.

C’è poi il problema di fronteggiare le performance poco brillanti e reggere la concorrenza della gestione passiva. Infatti si stima che negli ultimi 5 anni solo il 36% dei fondi ha sovraperformato i rispettivi benchmark di riferimento. Riuscire a proporre prodotti capaci di generare Alpha, cioè un extra-rendimento rispetto al mercato, sarà un valore aggiunto per le case di asset management, ma sarà anche una sfida molto difficile. E come se non bastasse si fa sempre più forte la pressione dei prodotti a gestione passiva come gli Etf, la cui crescita annua aggregata viaggia a un ritmo del 22% circa, 10 volte di più della media di tutta l’industria del risparmio gestito. Oggi gli asset degli Etf rappresentano circa il 9,5% dell’intera industria globale contro il 3,3% del 2008. Questa tendenza riguarda anche il segmento dei prodotti a reddito fisso europei, dove la quota di mercato degli Etf è salita dal 2,6% del 2012 al 4,7% del 2016. Diventa poi sempre più difficile per gli asset manager strutturare e creare prodotti attraenti in uno scenario di tassi a zero, visto che il rendimento dei titoli di Stato e delle obbligazioni è largamente al di sotto del costo dei fondi. Solo il 7% dei fondi obbligazionari venduti nell’Eurozona, per esempio, ha un total expense ratio al di sotto del rendimento dei bond decennali di un Paese importante come la Francia. Non è facile, dunque, ideare fondi obbligazionari attraenti.

A queste difficoltà si aggiunge la crescente pressione sui prezzi. Goldman Sachs stima che le commissioni incassate dalle società di asset management stanno rapidamente scendendo a un tasso annuo dell’1,8% a causa della concorrenza dei prodotti low cost. Inoltre, il margine di profitto che le case di gestione riescono a ricavare dalle commissioni di gestione (cioè il guadagno al netto dei costi) è diminuito dallo 0,7% del 2009 allo 0,6% del 2016. In uno scenario di tassi bassi, anche le commissioni di performance sono sotto pressione.

In tale contesto di business sempre più impegnativo le fusioni e le acquisizioni fra i player diventeranno indispensabili per tre motivi: ottenere econome di scala, allargare la gamma dei prodotti e rafforzare la distribuzione visto che attualmente ben tre quarti della distribuzione dei fondi di investimento in Europa è in mano ai canali bancari. Un futuro di m&a è inevitabile per il settore globale dell’asset management ancora oggi abbastanza frammentato, tanto che negli ultimi otto anni ci sono state soltanto 20 acquisizioni in Europa. Quanto ai predatori, di Amundi già si è detto, ma Goldman Sachs vede protagonisti anche Man Group e Schroders, mentre i campioni italiani sono equamente divisi tra Azimut e Banca Generali (buy) e Anima Holding e Banca Mediolanum (neutral). (riproduzione riservata)
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