di Marcello Bussi
Due morti, sei feriti e due dispersi. Questo è il bilancio provvisorio delle vittime di un’esplosione avvenuta ieri alle 11:30 nell’impianto chimico della Basf a Ludwigshafen, nell’area della città tedesca di Mannheim, nel sudovest della Germania, che ha costretto la società a interrompere 14 linee di produzione. L’esplosione è stata causata dalla rottura di una condotta utilizzata per scaricare sostanze infiammabili, come hanno ammesso gli stessi responsabili di Basf , senza però indicare di quale sostanza si trattasse, da una nave attraccata al bacino fluviale dello stabilimento sul Reno nelle torri dello stabilimento. I vigili del fuoco hanno esortato la popolazione a restare chiusa in casa, mentre la polizia ha ben presto chiarito che non si è trattato di terrorismo. Il sito industriale, a circa 80 chilometri da Francoforte, è il più grande impianto chimico del mondo, con un’area di 10 chilometri quadrati e 39 mila dipendenti.

In un altro impianto Basf a Lampertheim, sempre ieri in un’esplosione di gas quatto persone sono rimaste ferite. La società ha chiuso il sito, che produce additivi per plastiche, dopo l’esplosione avvenuta alle 8:30 del mattino. Alla borsa di Francoforte il titolo Basf ha chiuso in ribasso dell’1,2% a 78,28 euro. L’incidente che ha coinvolto il colosso della chimica tedesca è solo l’ultimo episodio di una serie davvero negativa per i principali gruppi tedeschi.

Il tutto è iniziato l’anno scorso con lo scoppio negli Stati Uniti del dieselgate, con Volkswagen che aveva equipaggiato 11 milioni di suoi veicoli con un software per taroccare i test sulle emissioni di scarico. Il mese scorso è poi scoppiato il caso Deutsche Bank , con la proposta del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti di pagare 14 miliardi di dollari per chiudere l’indagine sui mutui subprime. Ieri è toccato a Basf .

È ancora difficile stimare i danni delle esplosioni, ma di certo l’incidente di ieri scalfisce ulteriormente l’immagine di efficienza che da sempre la Germania vuole trasmettere. Che il sistema si stia indebolendo lo dimostrano poi le tendenze protezionistiche sempre più evidenti. Non c’è solo il fatto che le manifestazioni più imponenti contro il Ttip, il trattato di libero commercio tra Usa e Ue, abbiano avuto luogo proprio in Germania. Due giorni fa il Welt am Sonntag ha scritto che il vice ministro dell’Economia Matthias Machnig ha presentato ai membri del governo un documento in cui chiede di proteggere le società hi-tech tedesche dalle opa ostili di imprese extra Ue possedute in tutto o in parte dallo Stato.

La proposta arriva dopo una serie di operazioni che hanno coinvolto società cinesi: recentemente Midea ha acquistato il produttore tedesco di robot Kuka, mentre ieri Sanan Optoelectronics ha annunciato di essere in contatto con il gruppo dell’illuminazione Osram per una potenziale acquisizione o un accordo di collaborazione. Un portavoce del dicastero dell’Economia ha dichiarato che il ministro Sigmar Gabriel «ha ripetutamente chiarito che vorrebbe sondare tutte le opzioni, anche a livello europeo, per rendere possibile una competizione leale, specialmente in relazione alle imprese estere sovvenzionate dallo Stato, e rimanere allo stesso tempo aperti agli investimenti». (riproduzione riservata)
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