Tra bonus share e dividendi attesi, il gruppo guidato da Caio in 12 mesi potrebbe fruttare gli azionisti un rendimento di tutto rispetto Mentre la quota dell’offerta destinata al retail è pronta a superare il 30%

 

di Anna Messia

 

Naviga a gonfie vele la privatizzazione di Poste Italiane. Mercoledì 14, a tre giorni dall’avvio dell’operazione, la richiesta di sottoscrizioni aveva interamente coperto poco meno del 40% del capitale messo sul mercato dal ministero dell’Economia, sia per la componente istituzionale (cui è destinato il 70% dei titoli) sia per il retail (cui è riservato il 30% restante, compreso il 3% a servizio dei dipendenti). Ormai si galoppa quindi verso il raddoppio, considerando che le adesioni stanno proseguendo allo stesso ritmo dei primi giorni, con l’obiettivo magari di arrivare a triplicare le richieste entro il 22, quando si chiuderà l’offerta. «È la più grande quotazione fatta quest’anno da qualsiasi realtà europea», ha ricordato il premier Matteo Renzi nei giorni scorsi, realizzata in un periodo in cui c’è ottimismo sulla ripresa italiana. Tanto che molti investitori istituzionali esteri sembrano già aver aderito all’operazione, in particolare dal Regno Unito che l’amministratore delegato del gruppo, Francesco Caio, ha fissato come prima tappa del roadshow subito dopo Milano. La tre giorni londinese che si è chiusa giovedì 15. Toccherà quindi a Parigi e poi il manager, insieme al cfo Luigi Ferraris, tornerà negli Stati Uniti, con tappe a New York e Boston, dove sembra però già aver raccolto adesioni grazie agli incontri informali avuti prima dell’avvio dell’operazione.

 

 

 

Ma alto sembra essere l’interesse anche dei cittadini italiani che vogliono partecipare a questa operazione storica per il Paese, e diventare azionisti di un gruppo che è stato protagonista della trasformazione dell’Italia, dall’Unità in poi. Le Poste Italiane, già l’anno della nascita, nel 1862, offrirono lo strumento del vaglia, che divenne il primo servizio di tipo finanziario offerto ai cittadini italiani per le transazioni commerciali e le rimesse dei migranti. Poi ci fu l’invenzione del telegrafo, che cambiò il sistema delle comunicazioni, consentendo di comunicare via cavo da un capo all’altro del mondo. Fino ad arrivare al dopoguerra, con le Poste Italiane che furono protagoniste della ricostruzione del Paese: grazie alle somme raccolte attraverso la distribuzione di libretti e buoni postali lo Stato fu in grado di finanziare la realizzazione di nuove infrastrutture, dagli impianti postali e telegrafici, alle linee ferroviarie, ma anche aeroporti e acquedotti, scuole e università. Il rapporto tra le Poste e gli italiani è insomma una relazione di fiducia costruita negli anni che non è mai venuta meno, nonostante il gruppo, nel tempo, abbia profondamente cambiato pelle. Se nel 2000 il 61% dei ricavi arrivava dal settore corrispondenza e pacchi, l’anno scorso questi ultimi hanno rappresentato appena il 14%, mentre i servizi assicurativi e finanziari hanno visto lievitare il loro peso. Ma gli italiani non hanno allentato il legame con le Poste se si considera che, secondo quanto pubblicato nel prospetto informativo dell’offerta, più di uno su due è oggi cliente del gruppo. «Il gruppo organizza e gestisce, attraverso la proprio piattaforma distributiva multicanale, capillare e diversificata, l’offerta di prodotti e servizi, nei settori corrispondenza e pacchi, finanziario e assicurativo, ad un bacino di clienti che rappresenta circa il 54% della popolazione italiana», è scritto nei documenti. E molti risparmiatori italiani stanno continuando in questi giorni ad aderire all’offerta tanto che alle Poste starebbero valutando la possibilità di incrementare la quota riservata al retail, facendola salire rispetto al 30% indicata nel prospetto come soglia minima, a scapito della quota riservata agli istituzionali, pari al 70% restante (applicando quella che tecnicamente si definisce clausola di claw back). Di quanto potrebbe crescere l’offerta per il pubblico indistinto non è ancora chiaro e per capirlo bisognerà probabilmente attendere la chiusura dell’operazione, che terminerà giovedì 22 alle 13.30 (e alle 16 del 21 per i dipendenti) ma l’intenzione del gruppo sarebbe quella di favorire quanto più possibile un azionariato diffuso e stabile, favorendo quindi il pubblico indistinto.

 

 

 

Quanto conviene al retail aderire all’offerta? Un elemento di attrazione è rappresentato indubbiamente dalla bonus share. I risparmiatori che terranno le azioni per almeno un anno, a partire dal 27 novembre, giorno della quotazione, avranno infatti diritto a ricevere gratuitamente un’azione ogni venti detenute. In pratica un rendimento del 5% che ovviamente potrà crescere o diminuire a seconda del valore delle azioni tra un anno, e che arriva addirittura al 10% per i 143 mila dipendenti che avranno diritto ad un titolo ogni dieci sottoscritti Ma non c’è solo questo. Si aggiunge infatti l’ipotesi di un’alta cedola, che sembra far gola anche agli investitori istituzionali. Il consiglio di amministrazione di Poste lo scorso 7 ottobre ha adottato una politica di distribuzione dei dividendi pari ad almeno l’80% dell’utile per il triennio 2015-2018. E quella del gruppo è già oggi una storia di alte cedole. Nel 2012 è stato pagato un dividendo di 250milioni, saliti a 500 milioni l’anno successivo e ancora 250 milioni nel 2014. Nel primo semestre dell’anno il risultato netto è stato di 435 milioni ma il gruppo ha già fatto sapere che nel secondo semestre è previsto un rallentamento del risultato, a causa dei costi della riorganizzazione. Le stime degli analisti sono orientate così ad un utile 2015 di circa 520 milioni. In pratica, considerando il dividend payout dell’80%, la cedola per l’anno in corso potrebbe essere di circa 416 milioni. Di conseguenza il dividend yield per il risparmiatore potrebbe essere di circa il 4,2-5,3% e il rendimento complessivo, nel primo anno, bonus share inclusa, sarebbe quindi di circa il 10%. Se l’asticella si sposterà verso il 9% od oltre il 10% dipenderà dal prezzo definitivo dell’offerta, che prevede una forchetta compresa tra 6 e 7,5 euro. E ovviamente anche dalle fluttuazioni del titolo nel primo anno. Ma il management sta lavorando molto per stabilizzare l’azionariato, non solo per il pubblico indistinto che sarà incentivato a tenere il titolo per 12 mesi per incassare le azioni premio. Anche tra gli istituzionali sarà favorito chi promette di sottoscrivere azioni Poste Italiane con un obiettivo di medio lungo termine. (riproduzione riservata)