di Sonia Lazzini

Ci si chiederà il motivo di questa segnalazone. Il motivo sta nel contenuto dell’ordinanza numero 17586 del 4 settembre 2015, con la quale, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione sanciscono  che andranno proposte davanti al giudice civile le richieste di risarcimento del danno, ex art 2043 cc, le fattispecie nelle quali:

“Colui che, essendo stato già beneficiario di un provvedimento ampliativo illegittimo che sia stato oggetto di annullamento definitivo in via giurisdizionale o di autotutela da parte della stessa p.a., si dolga del danno derivante dall’affidamento causatogli dall’emissione del provvedimento ed agisce per conseguirlo, non introduce alcuna controversia sull’esercizio del potere dell’amministrazione.

(…)

La questione riguarda, dunque, l’apprezzamento del comportamento tenuto dalla p.a non come espressione dell’esercizio del potere bensì nella sua oggettiva idoneità a determinare l’affidamento incolpevole”.

Pertanto la controversia di cui si è occupato il giudice di appello siciliano non potrà piu’ essere discussa in sede di giustizia amministrativa ma proposta davanti al giudice civile

Vediamo i fatti

La concessione edilizia è stata rilasciata agli appellanti in data 14.02.2003, i relativi lavori sono iniziati in data 15 ottobre 2003, sono stati sospesi con ordinanza n. 8 del 19.2.2004 e successivamente, con determinazione dirigenziale n. 1069 del 15.6.04 si è proceduto all’annullamento della concessione.

Tale annullamento ha carattere vincolato tenuto conto dell’assoluta necessità dell’Amministrazione comunale di salvaguardare l’interesse pubblico tutelato dalle prescrizioni contenute nel piano di assetto idrogeologico del territorio di Canicattì, di cui al decreto dell’Assessorato Territorio ed Ambiente della Regione Siciliana n. 110 del 5 febbraio 2003.

L’ordinanza di sospensione dei lavori,che ha aperto il procedimento che ha portato alla determinazione di annullamento della concessione edilizia e da questa richiamata, afferma con chiarezza che le opere di cui alla C.E. n. 9/2003 ricadono nella delimitazione delle aree a rischio di esondazione del centro abitato,soggette alle norme di salvaguardia ai sensi dell’art. 2 del D.A. n. 543 del 25.7.02 ed esse non potevano avere inizio per effetto di quanto previsto dall’art. 5 del predetto D.A. 543/02, richiamato nel successivo DDG dello stesso Assessorato n. 11 del 5.2.2003.

Già in primo grado era stato riconosciuto il risarcimento del danno:

Lamenta parte appellante che il primo giudice avrebbe errato nel quantificare il risarcimento dei danni subìti per una somma pari a € 18.501,64 e chiede che l’Amministrazione venga condannata al pagamento della maggiore somma di € 109.883,00 o comunque in quella maggiore o minore che dovesse risultare a seguito di una CTU, che viene espressamente richiesta al fine di acclarare tutte le circostanze dedotte nel ricorso nonché i danni arrecati agli appellanti dall’illegittimo comportamento del Comune.

Il Tribunale sulla base della previsione dell’art. 30 ha ritenuto che, nel caso sottoposto alla sua attenzione, la condotta del Comune integrasse gli estremi di un atto illecito per violazione dei principi di buonafede e correttezza riconducibili all’esercizio della funzione pubblica (artt. 1337 e 1175 c.c.).

Nel procedere alla quantificazione del danno, il primo giudice, in applicazione della regola posta dall’art. 30, comma 3, del c.p.a. – norma ricognitiva dell’art. 1227 del cod. civ. – ha detratto gli importi riferiti alle singole voci del danno, come indicato dagli odierni appellanti, che non risulterebbero imputabili all’Amministrazione e neppure appaiono forniti della prova necessaria.

Sulla base di questa premessa la sentenza ha ritenuto che non potessero ammettersi al risarcimento, tra le altre, le somme riportate in fatture aventi data successiva al 19.2.2004, momento in cui è stata emessa l’ordinanza di sospensione dei lavori. Secondo il Tribunale i ricorrenti, usando l’ordinaria diligenza, non avrebbero dovuto procedere ad acquisti che non avrebbero potuto usare, considerata la sospensione dei lavori.

Di contro osservano gli appellanti che “di norma l’emissione delle fatture avviene in un momento successivo a quello dell’acquisto, ovvero al momento del pagamento” (p. 21 dell’appello). Ed inoltre hanno prodotto in giudizio “i preventivi concordati ed approvati … ai fini di ottenere i materiali necessari per l’esecuzione dei lavori nonché le bolle di consegna dei materiali”.

In più osserva il Collegio che il documento prodotto in giudizio datato 12.2.2004, dove si legge che gli appellanti ben potevano iniziare i lavori successivamente al rilascio della concessione, essendo questa perfettamente legittima, quantunque, come si è osservato, non rechi la firma del responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale e non possa valere a dimostrare l’eccesso di poter della determinazione di annullamento, tuttavia è indicativo di forti incertezze all’interno dell’Amministrazione in merito alla validità o meno della concessione edilizia, con evidente supporto dell’affidamento degli interessati sulla stabilità della concessione ricevuta

L’importo da risarcire quasi raddoppiato:

Il Collegio ritiene quindi che le valutazioni del Tribunale debbano essere corrette e vadano limitatamente accolte le richieste degli appellanti, valutato il comportamento tenuto dall’Amministrazione, nonché tutte le circostanze di fatto. E precisamente, ferma la statuizione del primo Giudice che ha riconosciuto per intero l’importo di € 11.000,00, riferito al ripristino copertura in legno a falde inclinate e la somma complessiva di € 1.501,00 indicata nelle due fatture riportanti le date del 28.10.2003 e 5.11.2003, il costo eventuale di demolizione indicato nella relazione in € 30.000,00 deve essere abbattuto in via forfetaria ed equitativa del 50% (anziché dell’80%) per un ammontare di € 15.000,00.

Il risarcimento relativo ad acquisti di materiale, supportato da 11 fatture va accolto nella misura del 50% arrotondato dell’importo di € 15.194,00 indicato dagli appellanti, per un ammontare di € 7.597,00

In totale, pertanto, va riconosciuto a titolo di risarcimento dei danni l’importo pari a € 35.098,00 che va posto a carico del resistente Comune.

Vedremo quindi come reagiranno i nostri giudici amministrativi al fatto che “Le Sezioni Unite ritengono di confermare, come già rilevato nell’ordinanza n. 1162 del 2015, la persistente validità – nonostante l’intervento del codice del processo amministrativo – delle conclusioni circa la sussistenza della giurisdizione dell’a.g.o. su controversie come quella su cui sono chiamate a regolare la giurisdizione”!

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