di Daniele Cirioli  

 

Scelta irrevocabile per il tfr in busta paga. Chi decide di intascare mensilmente le quote del proprio trattamento di fine rapporto non potrà avere ripensamenti: fatta la scelta, possibile dalle retribuzioni di marzo 2015, non potrà più revocarla fino a giugno 2018. La scelta sarà possibile anche per chi abbia già destinato il tfr a fondo pensione. Sulle quote finite in busta paga (si chiamano pir: parte integrativa di retribuzione) si pagano le tasse in misura ordinaria ma non i contributi all’Inps. A prevederlo è la bozza di ddl di Stabilità per il 2015, approvato mercoledì dal consiglio dei ministri.

Pochi, maledetti e subito. La nuova misura praticamente rappresenterà una terza opzione alla scelta sul tfr che già oggi i dipendenti sono tenuti a fare entro sei mesi dall’assunzione. Oltre a poterlo destinare a fondo pensione (previdenza integrativa) o a mantenerlo presso la propria azienda come buonuscita, si potrà decidere per la monetizzazione immediata, cioè per la liquidazione mensile in busta paga. La nuova misura è introdotta in via sperimentale per i periodi di paga dal 1° marzo 2015 fino al 30 giugno 2018, a esclusivo favore dei lavoratori dipendenti del settore privato, esclusi domestici e settore agricolo. Sono inoltre esclusi i datori di lavoro in crisi o soggetti a procedure concorsuali. È prevista una condizione per poter fare la scelta, il cui termine verrà fissato da apposito decreto cui è rimessa l’attuazione della nuova misura (da emanarsi entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge di Stabilità): l’anzianità di lavoro di almeno sei mesi presso il datore di lavoro. Prima di sei mesi, dunque, non sarà possibile chiedere il tfr in busta paga e il decreto dovrà stabilire se l’eventuale scelta in tal senso avrà effetto retroattivo, altrimenti sei mesi di tfr resteranno comunque in azienda o finiranno all’Inps, al fondo di tesoreria.

L’uovo oggi o la gallina domani. Il tfr che potrà finire in busta paga è quello maturando, quello cioè cui ha diritto il lavoratore per i mesi da marzo 2015 a giugno 2018 (dipende dal momento in cui si fa la scelta). Il tfr che finisce in busta paga si chiamerà pir, parte integrativa di retribuzione, e sarà al netto del contributo dello 0,5% che il lavoratore è tenuto a versare al fondo di garanzia Inps (già oggi paga quest’onere). La richiesta potrà essere fatta anche da chi, dal 1° gennaio 2007, abbia deciso di investire in una pensione di scorta, versando il tfr a un fondo pensione. Potrà dunque ripensare a questa scelta (dichiarata irrevocabile, quando fu fatta), per ottenere subito una quota aggiuntiva di retribuzione. Di conseguenza, in questi casi, dovrebbe esserci l’esonero per l’impresa dal versamento del contributo aggiuntivo al fondo pensione a favore del lavoratore.

Scelta irrevocabile. La monetizzazione del tfr, come accennato, sarà operativa per periodi di paga dal 1° marzo 2015 fino al 30 giugno 2018 (dunque 40 mesi in tutto). La scelta, una volta fatta, è definitiva, poiché non sarà possibile ritrattarla fino al 30 giugno 2018.

Ci guadagna lo stato. Il tfr trasformato in pir sarà soggetto a tassazione ordinaria, ma non pagherà contributi Inps. Le quota di questo reddito aggiuntivo, invece, sono escluse dalla verifica del limite di reddito (24/26.000 euro) per il riconoscimento della detrazione di 640 euro. La tassazione ordinaria produrrà un prelievo fiscale, sui lavoratori, più pesante rispetto al tfr come buonuscita (che è soggetto a tassazione separata) o a quello investito nella previdenza integrativa (dove per le prestazioni è previsto un regime fiscale di favore).

Le misure per le imprese. L’onere maggiore della nuova misura ricade sulle imprese, tenute ad anticipare mensilmente la quota di tfr dei lavoratori che opteranno per l’immediata monetizzazione. Il ddl Stabilità, a tal fine, conferma le misure «compensative» già previste per le imprese che devolvono il tfr ai fondi pensione o all’Inps, e in più prevede la possibilità di finanziamenti agevolati (tasso pari al tasso di rivalutazione del tfr) e garantiti dall’Inps. L’accesso al finanziamento sarà possibile solamente alle imprese con meno di 50 addetti. Tali imprese dovranno pagare un contributo all’Inps dello 0,2% sulla retribuzione dei lavoratori optanti per il tfr in busta paga e avranno diritto a uno sgravio della stessa misura (0,40% nel caso di dirigenti). L’impresa che deciderà di non avvalersi del finanziamento agevolato, al pari delle imprese con più di 49 addetti, avrà diritto a tutte le tre vigenti misure compensative previste sul tfr: deduzione fiscale del 6% (4% alle imprese con più di 49 addetti) del tfr monetizzato; sgravio contributivo Inps dello 0,20% (0,40% per i dirigenti); altro sgravio contributivo Inps dello 0,28%.

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