di Lucio Sironi

Che bel groviglio di interessi si nasconde dietro il dibattito sollevato sulla questione del trattamento di fine rapporto inserito mese per mese nella busta paga dei lavoratori. Spiccano, su tutti, quelli del premier Renzi, a cui fa gioco l’ulteriore iniezione di immediato potere d’acquisto a favore delle famiglie. Se gli 80 euro sono stati un primo assaggio, insufficiente a placare la fame di consumi insoddisfatti degli italiani dalle tasche piuttosto vuote, una tranche supplementare di liquidità potrebbe avere finalmente qualche effetto sulla ripresa economica. Una speranza con qualche fondamento? Forse sì, ma è difficile che questo avvenga senza una robusta ripresa di fiducia tra i lavoratori, i quali continueranno a essere più risparmiatori che consumatori se non vedranno aprirsi scenari decisamente più rosei di quelli affrontati negli ultimi anni. Ma è una svolta che non può certo realizzarsi in tempi brevi. Di fronte alle rilevanti incertezze con cui gli italiani sono abituati a misurarsi, resta alta la probabilità che anche buona parte di questo denaro finisca per essere messo da parte in funzione difensiva, un cuscinetto di risorse a cui attingere nel caso la situazione peggiori. E questo altro non è che lo stato d’animo collettivo che spiega la travolgente crescita vissuta negli ultimi anni dall’industria del risparmio gestito, pur in un quadro di redditi medi che stentano a crescere, anzi. Buon per le sgr e buon per i promotori finanziari, anche se alla lunga una situazione di squilibrio verso il fattore risparmio può avere effetti negativi sull’economia, a danno di tutti, risparmiatori compresi.

Un altro aspetto che merita di essere analizzato da chi si occupa di risparmio è poi il contributo di consapevolezza che potrebbe derivare caricando i risparmiatori di maggiori responsabilità. I lavoratori, anziché poggiare sul datore per la gestione del tfr, sarebbero chiamati a occuparsene in prima persona, ponendo fine a una cattiva abitudine al sostanziale disinteresse verso denari che invece sono di loro competenza, con relativi onori e oneri. Ricordiamoci che in precedenti occasioni solo una piccola parte dei lavoratori se l’è sentita di compiere il salto, per esempio quando si è trattato di destinare il tfr ad alimentare il fondo pensione di categoria. Molti hanno rinunciato, chi per diffidenza verso le nuove soluzioni, chi per timore di rimetterci in termini di performance (rischio che pure esiste), chi per scarsa conoscenza di questa opportunità. Ma è bene che anche i lavoratori che finora hanno goduto delle maggiori protezioni si rendano conto che il quadro di riferimento è cambiato e che un giorno anche le loro certezze potrebbero essere travolte.

Un’ultima considerazione sull’opportunità di mettere il tfr in busta paga. Quanti sono consapevoli che molti dei sussidi di cui godono i lavoratori a cui viene meno tutto o parte dello stipendio (sussidi di disoccupazione, contratti di solidarietà) sono a carico degli istituti previdenziali, dall’Inps a quelli di base previsti per le diverse categorie? Qualcuno dubita che questa sorta di erogazioni anticipate finiranno per intaccare le future pensioni, dal momento che erodono per l’appunto le risorse accantonate allo scopo? Curioso: tanto chiasso di fronte alla proposta di mettere il tfr in busta paga, quando addirittura, sia pure surrettiziamente, da tempo ci finiscono niente meno che i contributi previdenziali. A titolo compensativo dello stipendio che fu.