di Ignazio Marino 

 

Il governo attinge ancora una volta ai risparmi previdenziali degli italiani (versati nei fondi complementari) e dei professionisti in particolare (accantonati nelle Casse privatizzate e private) per cercare di far quadrare i conti dello stato. Il disegno di legge sulla stabilità, approvato l’altro ieri in Consiglio dei ministri, infatti, aumenta la tassazione sui rendimenti dei patrimoni: dall’11 al 20% per i fondi e dal 20 al 26% per gli enti privati. Nel primo caso, la previsione è messa ben in evidenza all’articolo 44 del ddl. Nel secondo caso, invece, è la mancanza di un esplicito riferimento «all’armonizzazione della tassazione» promessa da un precedente provvedimento che dal 1° gennaio 2015 farà diventare definitivo l’innalzamento al 26%. Ma andiamo con ordine

I fondi. Per il secondo pilastro si tratta di una doccia fredda. Il dl 66/2014 (convertito nella legge 89/2014) aveva previsto un aumento delle rendite finanziarie dall’11 al 11,5%. Il governo, invece, fa balzare in avanti di ben 9 punti percentuali l’aliquota. In base all’ultima relazione della Covip, a fine 2013 le risorse accantonate nella previdenza integrativa destinate alle prestazioni erano pari a 116 miliardi e hanno avuto un rendimento medio del 5,4%. Prendendo come riferimento questi due valori, il conto presentato ai fondi dall’esecutivo si aggira intorno ai 500 milioni di euro in più rispetto al passato. Ancora, il disegno di legge dispone che sui redditi derivanti dalle rivalutazioni dei fondi per il trattamento di fine rapporto e dai rendimenti attribuiti ai fondi di previdenza sarà applicata l’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi non più dell’11% ma del 17%.

Le Casse. Per la previdenza dei professionisti è la mancata conferma, nel ddl, della tassazione al 20% che fa scattare dal 2015 l’aliquota al 26% prevista inizialmente nel dl 66/2014 e poi sterilizzata con un emendamento in fase di conversione del decreto in legge in attesa di risistemare la materia in maniera più precisa. «In attesa di armonizzare i regimi fiscali, a decorrere dal 2015, la disciplina di tassazione dei redditi di natura finanziaria con quella relativa alle forme pensionistiche complementari», recitava l’emendamento in commento, «sarà riconosciuto alle casse di previdenza dei professionisti un credito d’imposta pari alla differenza tra l’ammontare delle ritenute e imposte sostitutive applicate nella misura del 26% sui redditi di natura finanziaria, relativi al periodo che va dal 1° luglio al 31 dicembre 2014, dichiarate e certificate dai soggetti intermediari o dichiarate dagli enti medesimi, e l’ammontare di tali ritenute e imposte sostitutive saranno computate nella misura del 20%». Spiega Andrea Camporese dell’Adepp (l’associazione che raggruppa gli enti autonomi): «Senza l’attesa armonizzazione dei trattamenti, di cui non c’è traccia nel testo del ddl stabilità, dunque, decade la norma del dl 66 e quindi trova conferma il 26% dal prossimo anno». Per Camporese si tratta di una decisione che «avrà delle ripercussioni molto gravi sui professionisti» considerando che il maggior prelievo fiscale farà abbassare le loro pensioni. Il tutto in un momento in cui le Casse si sono trovate intorno a un tavolo per dire alla richiesta del ministero dell’economia di finanziare, insieme ai fondi pensione, un fondo per la crescita da 5 miliardi per aiutare lo sviluppo delle imprese italiane (si veda ItaliaOggi del 10/10/2014). Disponibilità che oggi il presidente dell’Adepp rimette in discussione riservandosi di assumere «le opportune iniziative dopo un confronto con le altre Casse». Sempre che, durante il passaggio parlamentare, vincoli di bilancio permettendo, non si riesca in zona Cesarini a rimediare.