di Mario Longoni

La prima legge di Stabilità senza nuove tasse. Così l’ha annunciata Matteo Renzi alla fine del consiglio dei ministri del 15 ottobre. In realtà di nuove tasse, anche se ben nascoste, se ne possono contare almeno una dozzina. Le più indigeste sono probabilmente l’aumento delle aliquote Iva, ancora da quantificare, e l’aggravio delle imposte sui rendimenti dei fondi pensione e delle casse di previdenza dei liberi professionisti. 
Garantiranno un incremento di gettito anche le polizze vita, le slot machine, gli enti no profit. Non poteva mancare il classico aumento della benzina.

Anche una misura apparentemente liberale, come quella che concede ai lavoratori la facoltà di chiedere l’anticipo del Tfr in busta paga, ha il piccolo inconveniente di determinare un anticipo e un lieve aumento anche del prelievo fiscale. Idem per il cosiddetto forfait per i lavoratori autonomi, che va a sostituire, con aliquota del 15%, un regime (imprenditoria giovanile) che era tassato solo al 5%. Trascurando altri modesti aumenti del prelievo, il problema maggiore potrebbe però essere costituto dal possibile futuro aumento del prelievo locale (regioni, province e comuni), che presidenti di regione hanno già minacciato come necessario a compensare il taglio di cinque miliardi di trasferimenti imposto dalla legge di Stabilità.

 

E poi ci sono 11 miliardi di extradeficit, che non sono certamente nuove imposte, per ora. Ma che potrebbero diventarlo in futuro. In effetti chi altri potrebbe intervenire a pagare il debito dello Stato se non i suoi cittadini, con le future imposte? Un aumento del debito implica sempre un aumento delle imposte (future) necessarie per rimborsarlo, o anche solo per mantenerlo (se si esclude l’ipotesi del default).

 

D’altra parte un presidente del Consiglio non è un mago, non può creare risorse dal nulla. Da qualche anno ormai le casse dello Stato sono vuote, il prelievo fiscale è già oltre il tollerabile, il Paese non cresce. E non si può nemmeno stampare moneta, come si è fatto per tanti anni, perché con l’Unione europea l’Italia ha rinunciato alla propria sovranità monetaria. In queste condizione è forse impossibile fare più di quello che ha fatto la manovra impostata da Renzi per iniettare un minimo di fiducia nel Paese. E bisogna riconoscere che l’esclusione del costo del lavoro dall’Irap, la conferma del bonus degli 80 euro e degli ecobonus sulle ristrutturazioni, il tfr in busta paga, vanno proprio in questa direzione. Non sarà certo sufficiente per fare ripartire il Paese, ma senza risorse e con le mani legate dai vincoli europei, era difficile fare di meglio.

Ci sono però un paio di cose che mancano in questa legge di Stabilità: una è l’impegno ad adottare, in tempi brevi, misure incisive per far rientrare i 200 miliardi di capitali che si stima gli italiani abbiano parcheggiato all’estero senza dichiararli. Il disegno di legge sulla voluntary disclosure ci ha messo più di nove mesi per passare l’esame della Camera, ma non sarà certo con le contorte procedure ivi previste che si riuscirà a far emergere il grosso dei capitali. Una voluntary più semplice e meno esosa garantirebbe una importante iniezione di capitali e un buon gettito per l’erario.

L’altra cosa che proprio non si riesce a capire è come mai Renzi non abbia ancora messo sul tappeto una decisa opera di demolizione del debito pubblico che, come dimostrano le ultime crisi finanziarie, è la vera palla al piede dell’Italia. Un’azione di privatizzazione di parte del patrimonio pubblico, come questo giornale sta da mesi perorando, potrebbe ridurre del 30/40% i debiti dello Stato, con conseguenze positive in termini di fiducia degli investitori italiani e internazionali, e potrebbe consentire di ricreare quel clima positivo senza il quale non c’è legge di stabilità che sia in grado di rimettere in movimento un sistema ormai arenato. (riproduzione riservata)