Pagina a cura di Valerio Stroppa  

 

Dal furto di benzina a quello di generi alimentari, dai rimborsi-spese gonfiati alla sottrazione di attrezzi e macchinari. Ma a preoccupare maggiormente le imprese è la rivelazione di segreti industriali ai concorrenti da parte di dipendenti infedeli. Sono queste le frodi più ricorrenti rilevate dalle aziende italiane: nell’ultimo anno, l’89% di quelle con fatturato superiore ai 50 milioni di euro ha registrato episodi illeciti compiuti dal proprio personale. È quanto emerso dall’osservatorio di Axerta, società specializzata nelle investigazioni societarie, finanziarie e digitali. I furti sono commessi per lo più da impiegati e operai (42%), mentre amministratori e dirigenti sono responsabili del 21% delle appropriazioni indebite. Lo studio segnala pure il fenomeno delle commesse pilotate (14%), mentre sono meno frequenti il passaggio di informazioni alla concorrenza (12%) e le violazioni da parte di dirigenti con responsabilità di branch estere (11%). Sebbene meno diffusa in valore assoluto, la cessione di informazioni alla concorrenza è però il fenomeno economicamente più pesante. I settori maggiormente esposti al rischio sono quelli farmaceutico, della progettazione meccanica e il comparto assicurativo. In termini di danni economici, al secondo posto si posizionano le frodi perpetrate da dirigenti con responsabilità di branch estere (54%).

Solitamente le segnalazioni dei furti arrivano alla dirigenza attraverso e-mail o lettere anonime. Più raramente le frodi vengono scovate attraverso sistemi strutturati di whistleblowing, ossia organismi interni all’azienda deputati a portare alla luce i comportamenti scorretti di dipendenti e manager. I risultati della ricerca sono stati presentati nei giorni scorsi a Milano in un incontro organizzato in collaborazione con Aipd (Associazione italiana direttori del personale), che ha visto confrontarsi avvocati esperti in diritto penale, giuslavoristi e investigatori. Nel corso del convegno sono stati esaminati i diversi strumenti di difesa da parte delle imprese. Tra questi anche la possibilità per il datore di ricorrere a telecamere nascoste per verificare l’attività dei dipendenti, in alcuni particolari casi consentiti dalla legge. In linea generale, infatti, lo Statuto dei lavoratori fa divieto all’imprenditore di utilizzare sistemi di controllo a distanza dell’attività lavorativa dei dipendenti. Tuttavia esistono delle eccezioni: i cosiddetti controlli difensivi, già riconosciuti con numerose pronunce della Cassazione. Come ricorda Vincenzo Francese, amministratore delegato di Axerta, il controllo tramite telecamere occulte «avviene in relazione a un illecito e non alla normale prestazione lavorativa, sulla base di un sospetto e di concreti indizi». Va segnalato che negli ultimi mesi anche la giurisprudenza di merito ha avallato metodologie di controllo che, pur in apparente contrasto con la legge n. 300/1970, trovano invece legittimazione nella necessità di contrastare le frodi. La sezione lavoro della Corte d’appello di Milano, per esempio, ha stabilito che l’azienda può utilizzare un investigatore privato per controllare la fedeltà del dipendente, anche in presenza del solo sospetto di un illecito. Ciò è ammesso purché le verifiche esterne non riguardino la qualità delle attività lavorative vere e proprie. Era il caso, questo, di un informatore scientifico di una casa farmaceutica che utilizzava i permessi retribuiti della legge n. 104/1992 ottenuti dall’Inps per finalità diverse da quelle previste (assistenza ai genitori non autosufficienti). Tanto da giustificare, secondo la magistratura, il licenziamento per giusta causa inflitto dall’azienda (si veda ItaliaOggi Sette del 30 giugno 2014).

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