di Anna Messia

Tassare di più il risparmio per alleggerire la pressione fiscale sul lavoro. Con questo obiettivo in mente il governo guidato da Matteo Renzi non ha guardato in faccia a fondi pensione e polizze Vita, introducendo un pesante giro di vite sulle aliquote fiscali di questi strumenti (vedere anche Contrarian a pagina 24). 

Per quanto riguarda le polizze Vita, in caso di premorienza sarà colpita in particolare la componente finanziaria di questi prodotti. I capitali percepiti dagli eredi in caso di morte, secondo le bozze della legge di Stabilità, continueranno infatti a essere esentati dall’Irpef, ma solo per la componente di puro rischio. La maggior parte delle polizze Vita sottoscritte dagli italiani sono invece prodotti misti in cui, oltre al pagamento agli eredi di un capitale in caso di premorienza dell’assicurato, è previsto anche un investimento delle somme versate nella polizza. Come avviene per esempio con i prodotti unit linked, che hanno come sottostanti fondi comuni. I capitali che arriveranno da queste ultime componenti verranno tassati con un’aliquota al 26% (a esclusione della componente investita in titoli di Stato, che mantiene un’aliquota agevolata al 12,5%). La novità sarà introdotta dal 1° gennaio 2015 e da essa dovrebbe arrivare una fetta importante dei 3,6 miliardi di euro che il governo conta di racimolare grazie all’aumento delle rendite finanziarie. Di questi, come noto, 2,6 miliardi arriveranno dall’aumento (deciso a inizio anno) dalla tassazione delle rendita, passata già dal 20 al 26%, mentre circa 300 milioni saranno il frutto dell’inasprimento della tassazione sulle Fondazioni bancarie.

 

Chiamati in campo dall’esecutivo sono poi gli strumenti di previdenza integrativa, fondi chiusi e aperti, ma anche polizze previdenziali e probabilmente pure le casse dei professionisti. Per i primi tre la tassazione dei rendimenti, che di recente era già stata ritoccata dall’11 all’11,5%, è destinata a lievitare fino al 20% a partire dal periodo d’imposta 2015. Mentre per le casse il rischio è che la tassazione arrivi addirittura al 26%. Tale intervento va nella direzione opposta rispetto alle richieste del settore di ricevere, al contrario, incentivi fiscali per far finalmente decollare le adesioni e consentire agli italiani di costruirsi una pensione integrativa adeguata a garantire una vecchiaia serena. I prodotti di previdenza integrativa rischiano invece di uscire fortemente danneggiati dalla manovra del governo Renzi non solo per la stretta sulle aliquote fiscali ma anche perché potranno essere colpiti dai deflussi provocati dai lavoratori che decideranno di spostare il proprio Trattamento di fine rapporto dalla previdenza integrativa alla busta paga. L’anticipazione del Tfr al lavoratore dovrebbe essere sottoposta all’aliquota ordinaria e non a quella agevolata che scatta al momento della fine del rapporto di lavoro. In questo modo i lavoratori con un reddito più basso non subirebbero penalizzazioni, a differenza dei lavoratori più ricchi che dovrebbero pagare un’aliquota marginale più elevata. La cifra corrisposta al lavoratore in ogni caso non si sommerà al reddito complessivo. Quindi coloro che prendono poco meno di 26 mila euro non rischieranno di perdere il bonus da 80 euro. Passa poi dall’11 al 17% la tassazione sui redditi derivanti dalle rivalutazioni dei fondi per il trattamento di fine rapporto. Intervento che, secondo i primi calcoli, renderebbe di fatto neutra ai fini fiscali, la decisione di tenere il Tfr in azienda o di metterlo nel fondo. Ma le reazioni non sono mancate. «Per quanto riguarda il Tfr in busta paga non abbiamo alcun pregiudizio sul suo utilizzo volontario: non vorremmo che a questa scelta si accompagnasse però l’aumento della tassazione per i Fondi di previdenza complementare», ha dichiarato il presidente della commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano, aggiungendo che, «se così fosse, sarebbe la fine della previdenza integrativa».

A questo punto rischia anche di saltare il tavolo istituzionale, aperto da mesi con Cdp, per invogliare i fondi pensione a investire nell’economia reale. Anche perché, alla luce dell’aumento delle aliquote, per i fondi sembra sempre più conveniente investire in semplici titoli di Stato. (riproduzione riservata)