di Andrea Di Biase 

Ai piani alti di Mediobanca avranno di che essere contenti. Da tempo l’auspicio del management guidato da Alberto Nagel era che il patto di sindacato, che negli anni scorsi era arrivato a controllare quasi il 60% del capitale, per poi scendere progressivamente attorno al 40%, riducesse ulteriormente il proprio peso anche per dare maggiore respiro al titolo in borsa.

Oggi questo auspicio, almeno sulla carta, si è trasformato in realtà. Al termine del periodo in cui era possibile dare disdetta dal patto hanno infatti usufruito di questa possibilità, oltre al gruppo Unipol-FonSai (3,8%), anche leGenerali (2%), Italmobiliare (che ha svincolato l’1% restando nel patto con l’1,6%), l’imprenditore Marco Brunelli (0,16%) e, in extremis, anche i francesi di Groupama (4,93%).

Il patto, che prima delle disdette era forte del 42% del capitale, è pertanto sceso al 30,05%, poco sopra la soglia del controllo. Le disdette, inoltre, grazie anche alla decisione dei Pesenti di svincolare solo l’1%, non sono state tali da provocare lo scioglimento anticipato dell’accordo, che pertanto si è rinnovato automaticamente per due anni a partire dal primo gennaio.

Ma che cosa cambia negli assetti di governo di Piazzetta Cuccia? Per il momento la discesa del patto non sembra poter avere effetti sulla governance della banca. Se è infatti vero che sulla carta il flottante si avvicina al 70%, nella realtà dei fatti sembra difficile che gran parte delle quote svincolate possa essere messa sul mercato fin da subito. Chi di certo venderà è Unipol-FonSai, che deve uscire dal capitale diMediobanca entro fine anno come chiesto dall’Antitrust. Sembra invece più difficile che a liquidare subito la quota possano essere le Generali o Italmobiliare. Di sicuro non lo farà Groupama, che ieri ha fatto sapere di non essere intenzionata a liberarsi della partecipazione, puntando sul rilancio del titolo legato al nuovo piano strategico varato da Nagel.

Sembra inoltre possibile che, entro la fine dell’anno, il posto lasciato da Groupama possa essere preso da un altro azionista (o più azionisti) indicati dall’uomo d’affari francese, Vincent Bolloré. Con l’uscita dal patto della compagnia transalpina il peso del gruppo C, quello dei soci esteri, si è ridotto dall’11% al 6%, mentre gli altri due gruppi, quello A dei soci bancari (Unicredit e Mediolanum) e quello B dei soci industriali, pesano entrambi per il 12%. L’accordo prevede la facoltà per Bolloré di indicare entro la fine dell’anno altri soggetti per rimpolpare il gruppo C. Una facoltà di cui il finanziere bretone, che ieri si è dimesso dalla carica di vicepresidente e di consigliere delle Generali, ha già fatto sapere di volere utilizzare.

Resta invece da capire se la nuova distribuzione dei pesi tra i tre gruppi di azionisti possa impattare sulle modalità di nomina dei consiglieri di maggioranza diMediobanca. Finora il gruppo B, essendo più pesante degli altri due, nominava un numero di consiglieri superiore (sette amministratori contro i quattro del gruppo C e i cinque del gruppo A). Non è escluso a questo punto che, nei prossimi mesi, il patto possa affrontare anche questo argomento. Anche perché il prossimo anno va a scadenza l’intero consiglio di amministrazione di Mediobanca. (riproduzione riservata)