di Debora Alberici 

 

Non importa come venga definito, ma sta di fatto che il danno esistenziale dev’essere risarcito autonomamente rispetto a quello biologico, purché vengano compromessi diritti di rango costituzionale. Ecco quindi che la vittima di un incidente stradale ha diritto al ristoro per la sopraggiunta impossibilità di realizzarsi sessualmente.

A questa conclusione, che segna una stangata a carico delle assicurazioni, è giunta la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 23147 dell’11 ottobre 2013, ha respinto il ricorso incidentale di una compagnia che si opponeva alla sentenza della Corte d’appello che aveva liquidato separatamente il danno alla vita sessuale definito nel ricorso del suo avvocato come danno esistenziale.

Sul punto, particolarmente dibattuto in dottrina e giurisprudenza, in un passaggio chiave della sentenza si legge che se non è ammissibile nel nostro ordinamento l’autonoma categoria di «danno esistenziale», in quanto, ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. Mentre, qualora si intendesse invece includere nella categoria pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, la stessa sarebbe illegittima, quel che rileva, ai fini risarcitori, è che, ove si siano verificati pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi non siano stati già oggetto di apprezzamento e di liquidazione da parte del giudice del merito, a nulla rilevando in senso contrario che quest’ultimo li liquidi sotto la voce di danno non patrimoniale oppure li faccia rientrare secondo la tradizione passata sotto la etichetta «danno esistenziale». «E invero, l’erroneità della denominazione adottata, di per sé sola, non fa ovviamente discendere l’illegittimità della loro liquidazione».