di Luca Gualtieri

Non è un mistero che le agenzie di rating abbiano una conoscenza piuttosto approssimativa del sistema bancario italiano, come dimostrato dai giudizi espressi negli ultimi anni e dalle tempistiche scelte. Ove mai ce ne fosse bisogno, il materiale raccolto dalla Procura di Trani e dal pm Michele Ruggiero è più che indicativo. Finora, però, non si era mai assistito al downgrade a junk di un grande gruppo in fase di ristrutturazione e assicurato per giunta dalla garanzia di uno Stato. Ieri questa sorte è toccata a Mps, che dopo il declassamento di Moody’s ha perso il 6,36% a 0,23 euro con oltre 343 milioni di azioni passate di mano, pari al 2,93% del capitale. Nella notte tra mercoledì e ieri, l’agenzia Usa ha infatti abbassato il rating di Mps da Baa3 a Ba2 con outlook negativo, facendo così scendere la valutazione a livello spazzatura. La ragione del downgrade? Per l’agenzia l’iniezione di capitale da 1,5 miliardi da parte del governo italiano (i cosiddetti Monti bond) potrebbe risultare insufficiente e Rocca Salimbeni potrebbe aver bisogno di altri aiuti esterni nell’orizzonte del rating. «Come gli stress test dell’Eba e della Banca d’Italia hanno mostrato, Mps non è stata in grado di aumentare la propria base di capitale ai livelli richiesti», spiega Moody’s. Non solo. La qualità degli asset della banca risulta «debole e continuerà a peggiorare» date le fiacche prospettive di crescita dell’Italia per la parte restante del 2012 e per il 2013. Moody’s stima infatti per l’Italia «un pil in calo fra il 2,5% e l’1,5% per il 2012 e una contrazione in una forchetta compresa fra il -1% e lo 0 nel 2013, con significativi rischi al ribasso che pesano sulle prospettive». Eppure gli stessi analisti di Moody’s concedono una chiara apertura di credito al management: «Meritano di essere considerate l’esecuzione con successo del piano industriale e una significativa iniezione di capitale da parte degli azionisti del Monte», spiega l’agenzia di rating nella nota. Insomma, argomentazioni generiche e decisamente intempestive che Fabrizio Viola, amministratore delegato di Mps, ha respinto al mittente: «Non mi piace commentare le valutazioni delle agenzie di rating, ma questa volta faccio un’eccezione», ha incalzato ieri il banchiere a poche ore dall’annuncio dell’agenzia. «Il downgrade si riferisce a dati che sono noti da molto tempo e che risalgono al 2011 e alla prima metà del 2012. In particolare, il giudizio di Moody’s non tiene conto del piano di ristrutturazione lanciato da Mps alla fine di giugno». Per il banchiere il giudizio dell’agenzia non tiene nel dovuto conto «il fatto che la liquidità di Mps è migliorata grazie all’aumento dei depositi nel terzo trimestre. Le esigenze di capitalizzazione sono scese da 3,4 miliardi alla fine dello scorso anno a 1,7 miliardi alla fine di giugno», ha incalzato Viola. Questo deficit patrimoniale, peraltro, risulta «tutto riconducibile alle minusvalenze sui titoli di Stato italiani che la banca ha acquistato. Titoli che iniziano a beneficiare della riduzione dello spread». C’è poi la delega per l’aumento di capitale da 1 miliardo «che non sono soldi in cassa, ma è una decisione importante da parte degli azionisti che andava considerata con più attenzione», ha concluso il ceo del Monte. Sulla stessa linea si è mosso anche il cfo Bernardo Mingrone in un’intervista a Class Cnbc: «Non mi aspettavo il downgrade, non se lo aspettava neanche il mercato, e non mi convincono le motivazioni ». Stupore condiviso anche da molti analisti finanziari: «Il taglio è avvenuto o troppo tardi, in quanto i problemi di solvibilità della banca erano ben noti da tempo, o troppo presto, visto che i dettagli sui Monti bond non sono ancora stati perfezionati», spiegano da Banca Akros. (riproduzione riservata)