di Anna Messia

Di questi tempi è piuttosto raro trovare qualcuno disposto a puntare sull’Italia tanto da dichiararsi pronto a investire per rilevare attività o società. Ma le eccezioni, fortunatamente, non mancano, e le manifestazioni di interesse, particolare ancor più degno di nota, arrivano da un operatore estero: «Il vostro è un mercato che ci piace e noi abbiamo prodotti che sarebbero sicuramente molto interessanti per voi. Per questo, se si presentasse l’occasione, saremmo pronti a investire in Italia, anche attraverso acquisizione e concentrazioni che potrebbero essere utili a rafforzare l’azionariato ». A parlare è Pierre Servant, amministratore delegato di Natixis global asset management (Ngam), tra le prime 15 società di gestione al mondo con 560 miliardi di euro di asset, controllata da Bpce, il secondo gruppo bancario in Francia con un network di 19 banche popolari e 17 casse di risparmio. Il nome di Natixis, a dire il vero, era già circolato qualche anno fa come possibile acquirente di Pioneer Investments, la sgr del gruppo Unicredit. Poi l’operazione sfumò, ma l’interesse dei francesi per l’asset management italiano sembra ancora vivo ed è altrettanto certo, che prima o poi, la stagione delle vendite e delle aggregazioni per i gestori italiani sia destinata a riaprirsi. «L’industria italiana del gestito, come del resto in altri mercati europei, è dominata dalle banche e in questo periodo i fondi stanno soffrendo perché gli istituti preferiscono raccogliere liquidità con i loro depositi», dice Servant, in questi giorni in visita a Roma. «Non si può insomma nascondere che l’ambiente è molto competitivo e oggi ci sono troppi asset manager che nei prossimi anni saranno obbligati ad aggregarsi. Ma il tasso di risparmio degli italiani è molto elevato, la profittabilità del business resta interessante e proprio il processo di concentrazione potrebbe rappresentare l’occasione per investire in Italia e diversificare ulteriormente l’attività di Natixis global asset management». La società di gestione, del resto, ha già fatto della presenza in più Paesi il suo punto di forza. La sgr ha due sedi principali, una a Parigi e l’altra a Boston. È quindi per metà francese e per metà americana. Un mercato, quest’ultimo, «che sta continuando a crescere anche se non come cinque anni fa», dice Servant. A questo si è aggiunto un approccio multi-boutique, con una struttura coordinata che supporta il collocamento in tutto il mondo, di prodotti e strategie di oltre 20 case di gestione che operano all’interno della società, come Harris Associates, Alpha Simplex o Loomis& Sayles. «La crisi di questi ultimi anni ha dimostrato che per resistere alle difficoltà bisogna essere un operatore globale », continua Servant. «Anche in questo periodo difficile ci sono mercati in rapido sviluppo, come l’India o la Cina, molto interessanti per la nostra industria considerando, per esempio, l’assenza di piani previdenziali pubblici che spingeranno sempre di più i cittadini a fare ricorso al risparmio privato». Paesi che Natixis global asset management presidia con la sua controllata in Asia, come del resto avviene già anche per Italia, dove l’amministratore delegato Antonio Bottillo coordina un team di otto persone che si sono focalizzate finora soprattutto sul business istituzionale. Le ultime operazioni concluse sono state, per esempio, un mandato di gestione per il fondo pensione della Rai cui si è aggiunta la gestione di tre fondi assicurativi per le polizze unit linked di Banca Carige. Una crescita che ovviamente potrebbe ottenere una rapida accelerazione con un’acquisizione. «Crediamo nell’Italia che ha un tessuto industriale molto forte e stiamo ancora investendo in Btp, benché ridotti rispetto al passato, perché pensiamo che l’alto spread dei titoli di Stato non sia giustificato dalla situazione economica», continua il numero uno di Natixis global. Certo, la crisi sarà lunga per tutti e «ci vorranno almeno cinque o dieci anni prima che i Paesi europei risolvano i loro problemi di deficit», conclude, «ma in periodi come questi non bisogna smettere di investire. Anzi. Se si hanno alle spalle azionisti che credono nel business, come nel nostro caso, si possono fare ottimi affari». Ma c’è qualcosa di concreto? «Non per ora, ma continuiamo a studiare dossier», dice Servant, «interessati alle sgr e all’accesso alla rete di vendita delle banche». Proprio su quest’ultimo punto saltò l’affare Pioneer. Ma ora i tempi sono diversi. (riproduzione riservata)