La mediazione è stata dimezzata. Sopravvive quella facoltativa, mentre non c’è più la mediazione obbligatoria. Il decreto legislativo 28/2010, nel lanciare uno strumento alternativo alla risoluzione giudiziale delle controversie civili e commerciali, aveva scelto di considerare, per particolari materie, la conciliazione come una condizione di procedibilità dell’azione. Questo significava che la causa poteva anche essere iniziata, ma non poteva andare avanti se le parti non si fossero prima rivolte a un organismo di conciliazione. Giocando sul filo degli istituti giuridici il legislatore aveva spiegato che avere configurato una condizione di procedibilità (e non una condizione di ammissibilità) avrebbe messo al riparo da eventuali contestazioni di violazione del diritto di difesa. Un conto, si era detto, è non ammettere la possibilità di presentare una causa, altro è dire che, se iniziata senza avere interpellato l’organismo di conciliazione, la causa dovesse essere messa in stand by. Sta di fatto che l’eccesso di delega ravvisato dalla sentenza di ieri della Corte Costituzionale ha assorbito anche le altre censure relative alla limitazione del diritto di difesa (vedasi ad esempio l’ordinanza del tribunale di Torino, giudice Toscano, del 24/1/2012, ItaliaOggi del 3 settembre 2012). Vediamo, dunque, il quadro normativo a seguito della sentenza della consulta. Il principio di partenza è che chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili. In sostanza rimane la regola per cui una controversia civile o commerciale può essere decisa o dal giudice oppure da un soggetto diverso e in particolare da un organismo di conciliazione, istituito e disciplinato dal decreto legislativo n. 28/2010. In base all’articolo 5 del decreto in questione vi era, però, un elenco di materie (si veda tabella in alto) per le quali il passaggio dall’organismo di conciliazione non era facoltativo, ma vincolato. Certo come condizione di procedibilità e non come condizione di ammissibilità, ma sempre un passaggio obbligato, che come messo in evidenza dalle ordinanze di rimessione della questione alla consulta, poteva finire per diventare un aggravio di spese e un allungamento Prima di andare in causa, per queste materie bisognava preliminarmente esperire il procedimento di mediazione, condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Tra l’altro l’improcedibilità doveva essere eccepita dal convenuto, ma poteva anche essere rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Inoltre il giudice se avesse rilevato che la mediazione era già iniziata, ma non si era conclusa, avrebbe dovuto fissare la successiva udienza dopo la scadenza del termine previsto per conciliazione (quattro mesi). Allo stesso modo il giudice doveva provvedere quando la mediazione non fosse stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Tutto ciò scompare per effetto della sentenza. Rimane, certo, mediazione facoltativa, ma rischia di essere poca cosa, se non è incentivata dai legali delle parti, quando la ritengano opportuna. Travolta l’obbligatorietà della mediazione, vengono meno le regole conseguenti a tale istituto. Questo vale ad esempio per condanna a pagare una somma corrispondente al contributo unificato, che il giudice doveva pronunciare quando la parte costituita non avesse partecipato al procedimento senza giustificato motivo. E vale anche per l’obbligo dell’avvocato di informare l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Antonio Ciccia