DI GIUSEPPE DI VITTORIO

Tobin tax, mite sulle azioni pesante sui derivati. Nel disegno di legge sulla stabilità è tracciato l’identikit della Tassa sulle transazioni fi nanziarie pensata dall’esecutivo. Quelle idee ora dovranno essere confrontate con di altri dieci paesi dell’Unione europea (Germania, Francia, Portogallo, Belgio, Slovenia, Austria, Grecia, Estonia, Spagna, Slovacchia). L’Italia ha infatti aderito alla Procedura di cooperazione rafforzata. Si tratta di un istituto di diritto europeo che consente l’armonizzazione delle normative nazionali, in questo caso fi scali. Il percorso parlamentare del dettato normativo sarà parallelo e risentirà di quanto deciso a Bruxelles. La proposta europea a base della discussione verrà presentata, secondo gli impegni presi dal Commissario Ue alla fi scalità, nella prossima riunione dell’Ecofi n che si terrà il 12 e 13 novembre. Per la verità un testo su cui discutere l’Unione europea già ce l’ha ed è stato licenziato come proposta della Commissione a settembre del 2011. Si tratta però di norme diverse rispetto a quelle pensate dal governo italiano. Il dibattito sulla Tassa sulle transazioni è poi arricchito da un terzo testo, quello francese, questa volta già entrato in vigore nel paese transalpino dal mese di agosto. La posizione dell’Italia nel dibattito non sarà marginale visto che si tratta della terza economia continentale e il suo si è diventato decisivo per il raggiungimento del quorum necessario ad avviare la Cooperazione rafforzata (almeno 1/3 dei paesi Ue). Vale la pena quindi capire nel dettaglio quali sono le intenzioni di partenza sull’argomento. La tariffa. La proposta di legge di stabilità prevede un’unica tariffa pari allo 0,05% su azioni italiane e derivati. Ed è questa la prima novità rispetto al testo dell’Unione europea che prevedeva una tariffa dello 0,10% su azioni e obbligazione e dello 0,01% sui derivati. La base imponibile. Quanto alla base imponibile la tariffa verrebbe applicata sul controvalore dell’operazione per le azioni italiane e sul valore nozionale per quanto riguarda i derivati. Restano fuori invece, secondo il disegno italiano, i bond e i titoli di stato. L’applicazione della tariffa anche sugli strumenti di debito, come le obbligazioni, avrebbe sicuramente peggiorato il costo di fi nanziamento per le imprese. Sarà interessante capire quale sarà la posizione di Francia e Germania su questo argomento. I due paesi sarebbero i più penalizzati nel caso i bond a livello europeo dovessero rientrare. Francia e Germania si fi nanziano sulle scadenze più brevi a tassi prossimi allo zero o addirittura negativi. Se venisse introdotta una tassa il rendimento né verrebbe sicuramente influenzato. Tornando ai derivati si tratta di un vero e proprio salasso. I costi di negoziazione rispetto agli attuali valori lieviterebbero del 1.000%, senza contare che le imposte si applicherebbero anche in caso di perdita. La tassa sarebbe cosi pesante perché il legislatore italiano ha pensato di tenere conto nel calcolo della base imponibile del valore nozionale. I derivati vengono invece scambiati normalmente con delle caparre, i margini, inferiori dieci volte al nozionale. Il testo Ue manteneva il concetto di nozionale ma aveva un’aliquota ridotta sui derivati pari allo 0,01%. Presupposto soggettivo. L’imposta colpirebbe in uguale misura compratore e venditore dello strumento fi nanziario. L’aliquota è quindi sostanzialmente dimezzata, una delle due parti inoltre dev’essere residente in Italia. La transazione, poi, può anche avvenire al di fuori della penisola se una delle due parti è residente in Italia si applica la tassa. Sono escluse del campo dell’imposta le ipo (le emissioni di nuove azioni) e le operazioni poste in essere dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali dei singoli paesi dell’Unione. Per completezza può essere utile ricordare che il testo francese colpisce solo i titoli con una capitalizzazione di borsa superiore al 1 miliardo di euro, circa un centinaio di società. Le operazioni aperte e chiuse in giornata sono poi escluse dall’imposta. La questione degli introiti. Un nodo da sciogliere è quello della destinazione dell’eventuali risorse. La strada più concreta è la destinazione del gettito alle casse erariali dei singoli stati. In questo senso l’Italia si è già portata avanti, introducendo nella legge di stabilità per il 2013 il generico impegno a far cassa con le entrate della Tobin Tax. L’ipotesi iniziale era quella di fi nanziarie parte del bilancio dell’Unione europea 2014-2020. Un’idea che appare poco praticabile, visto che quasi 2/3 dell’Unione non aderisce all’iniziativa. A questo punto l’Ue ha pensato a una tassa che non incassa e soprattutto non ha risolto il problema delle risorse con cui fi nanziare il suo bilancio. Le strade tradizionali dell’inasprimento della tassazione indiretta o la richiesta di maggiori fondi agli stati sono impraticabili. A Bruxelles si batte cassa. © Riproduzione riservata