La crisi impatta anche sulla formazione manageriale, spingendo le aziende a orientarsi verso strategie più mirate nella programmazione dei percorsi formativi, con scelte tematiche precise e indirizzate a poche e selezionate persone. Mentre la congiuntura negativa non ferma lo sviluppo, anche in Italia, delle corporate university, scuole aziendali dedicate alla formazione dei dipendenti. Formazione manageriale in calo. Secondo i dati dell’indagine «Osservatorio Asfor 2012» sulla domanda di formazione manageriale, alla quale hanno partecipato capi del personale, responsabili della formazione e di corporate university di oltre 70 grandi e medie aziende italiane, nonostante positive eccezioni, gli investimenti in formazione hanno risentito negli ultimi mesi in modo signifi cativo della recessione che sta interessando il paese. Con una attesa diffusa riduzione nel 2012 dei budget impiegati per il training rispetto al 2011. In particolare, rispetto allo scorso anno sono in aumento le imprese che intendono diminuire le risorse fi nanziarie dedicate alla formazione (il 34,8% contro il 17,7% nel 2011); mentre la percentuale di quelle che intendono aumentare il budget si riduce al 12,1% (nel 2011 erano il 26,5%); il 40,9% contro il 54,5% dello scorso anno dichiara, invece, di volerlo mantenere stabile. Una tendenza che però sembra aver coinvolto solo marginalmente le grandi aziende. «Nonostante la turbolenza economica, le grandi imprese hanno comunque una loro strategia di formazione e continuano a investire», sottolinea Mauro Meda, segretario generale di Asfor. «L’incertezza maggiore è prevista per l’anno prossimo a causa dell’insicurezza sui mercati. A utilizzare maggiormente la formazione restano soprattutto le grandi aziende come leva di competitività in una logica di competizione internazionale. Mentre le pmi sono più legate all’attività quotidiana e mostrano scarsa capacità di andare oltre il giorno per giorno». I fondi interprofessionali e i fornitori. Un altro dato signifi cativo che emerge dal rapporto di Asfor è la conferma di una tendenza che aveva tenuto banco già negli scorsi anni: la quasi totalità delle organizzazioni interpellate ricorre al fi nanziamento delle attività di formazione soprattutto attraverso i fondi interprofessionali e in particolare per realizzare programmi di formazione svolti con la metodologia dell’aula. Dal punto di vista dei contenuti, invece, i principali riguardano l’aggiornamento delle skills manageriali, lo sviluppo di competenze professionali, le tematiche riguardanti le lingue e la sicurezza sul lavoro, e, infi ne, il supporto a progetti aziendali considerati strategici (quali, ad esempio, il change management). «La tendenza a utilizzare i fondi è propria delle grandi aziende, che costruiscono ad hoc i programmi con l’aiuto delle società di consulenza», prosegue Meda. «Mentre le pmi incontrano alcune diffi coltà: i fondi vengono infatti considerati ancora di diffi cile gestione e rendicontazione nonostante ci sia stata una semplifi cazione delle procedure negli ultimi tempi». Imprese più attente al rapporto qualità/prezzo. Per quanto riguarda invece i fornitori, con la riduzione dei budget, gran parte delle imprese pone un’attenzione ancora maggiore al rapporto qualità dell’offerta e prezzo proposto, richiedendo una formazione sempre più personalizzata nell’ambito di una attenta gestione dei costi. E con strategie di formazione focalizzate su tre priorità: l’aggiornamento delle competenze professionali e manageriali, lo sviluppo della leadership e il miglioramento dell’effi cienza dei principali processi aziendali (ad esempio, lean production e programmi di riduzione costi). Le organizzazioni che hanno partecipato all’indagine ritengono, infi ne, che i fornitori di formazione debbano effettuare un ulteriore sforzo per migliorare l’innovatività delle proposte in termini di contenuti e metodologie e la capacità di comprensione delle esigenze e dei bisogni del cliente. La crisi non ferma le corporate university. All’interno del sistema della formazione manageriale spiccano le corporate university, cioè scuole aziendali dedicate alla formazione dei dipendenti. Nate anche in Italia sulla scia del modello americano, oggi ne esistono circa una trentina. Precisamente 26 secondo il censimento attuato dalla Fondazione campus studi del Mediterraneo, concentrate in sette regioni del Centronord: Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana e Lazio. In media, ogni gruppo investe quasi 10 milioni all’anno in formazione per un totale di 2,3 milioni di ore di training. «Le corporate university si stanno rafforzando anche con la crisi sulla scia delle nuove priorità aziendali: sviluppo di competenze specialistiche e di skills manageriali trasversali», spiega Meda. «La realtà più importante in Italia è l’Eni, che nel 2001 ha fondato la sua corporate university; altre, invece, si stanno consolidando. Una realtà interessante, per esempio, è la Bosch che ha un’academy interna che però eroga formazione anche all’esterno. Oppure Illy con l’università del caffè». Oltre a quelle già citate spicca anche Enel con Enel university; negli ultimi anni, inoltre, anche alcune aziende medio-grandi hanno dimostrato di credere nello strumento dell’academy aziendale. Alcuni esempi: la Landi Renzo corporate university, la Geox corporate university, la scuola Barilla Lab, il Ferrero Geie Learning Lab o la Mediolanum corporate university. Tra le altre che completano l’elenco delle 26 ci sono Alcatel Lucent, Angelini Farmaceutica, Chloride Academy, Diesel, Fs Formazione, Generali Group Innovation Academy, Hera, Ibm, Isvor Fiat, Scuola Kedrion, Kpmg Knowledge Academy, Nokia-Siemens, Poste Italiane, Reale Mutua Assicurazioni, Seat corporate university, Tenaris Dalmine e UniManagement. Da un punto di vista tecnico, i corsi delle corporate university hanno per il 90% una durata inferiore ai cinque giorni; i budget impiegati provengono per il 71% da risorse aziendali, per il 18% da fondi interprofessionali, per il 9% da corsi interaziendali e per il restante 2% da clienti o partner. Dal punto di vista dei contenuti, invece, il focus è incentrato soprattutto sulle lingue, sulla logistica, sulla produzione e sulle competenze tecniche. Negli ultimi tempi, però, la crisi ha spinto a una maggiore personalizzazione delle attività di formazione sulla base delle specifi che esigenze delle linee aziendali, ad ampliare le attività di formazione fi nanziata, a modifi care le priorità formative in base all’analisi della domanda, e in alcuni casi a lasciare maggior spazio alla docenza interna. Da ultimo è stata ridotta la durata media dei programmi, mentre a riscuotere maggiori consensi sono rimasti la formazione frontale in aula, il training on the job, il coaching e l’elearning.