di Roberta Castellarin e Paola Valentini

L’Inps ha promesso che entro Natale comunicherà ai lavoratori la stima della pensione che potranno attendersi in base a diversi scenari. Non sarà la busta arancione che ricevono i contribuenti svedesi, ma un pin che consente di accedere online a un simulatore interattivo. Il lavoratore dovrà quindi inserire i dati in merito all’attesa evoluzione della propria carriera, compreso anche un possibile addio anticipato al lavoro. Tale eventuale addio anticipato si traduce in un buco contributivo, che non riduce soltanto l’importo della pensione pubblica, ma allontana anche l’età in cui sarà ottenuta. Il tema riguarda da vicino chi, per scelta di vita o per perdita del lavoro, smette di versare i contributi a 60 anni. In questa situazione, peraltro, si trova anche la platea dei lavoratori esodati che sono usciti dal mondo del lavoro sperando di avere la pensione dopo un paio di anni, ma per effetto della riforma Fornero si sono visti spostare in avanti anche di cinque-sei anni l’appuntamento con l’assegno. Proprio per analizzare gli effetti dei buchi contributivi sull’età della pensione e sull’importo dell’assegno, Progetica, società indipendente di consulenza previdenziale, ha realizzato per MF-Milano Finanza alcune simulazioni partendo dall’ipotesi di addio al lavoro anticipato a 60 anni. «Le simulazioni mettono a confronto le tradizionali stime nel caso di continuità lavorativa con quelle nel caso di interruzione a 60 anni», spiega Andrea Carbone di Progetica. I risultati segnalano che in tutti i casi c’è un calo dell’assegno pensionistico compreso tra il 7 ed il 27% a seconda delle casistiche. Per chi ha iniziato a lavorare a 20 anni, inoltre, l’interruzione dell’attività lavorativa porterebbe a un differimento del momento della pensione. Per esempio, nel caso di continuità lavorativa, in base agli scenari demografici attuali un dipendente trentenne andrà in pensione a 67 anni e sei mesi con il canale del pensionamento anticipato (anzianità contributiva indipendente dall’età anagrafica). Nel caso in cui lo stesso lavoratore interrompesse l’attività a 60 anni, percepirà la pensione nove mesi dopo perché non riuscirà a sfruttare il canale del pensionamento anticipato che oggi è di 42 anni e un mese per i lavoratori dipendenti pubblici e privati e per gli autonomi, e salirà negli anni per effetto dell’aumento della speranza di vita. Questo lavoratore però avrà l’altro canale privilegiato riservato a chi è stato assunto dopo il primo gennaio del 1996. Per chi è entrato nel mondo del lavoro a 20 anni e oggi ne ha 50, l’appuntamento con la pensione, se uscirà a 60 anni, si sposterà addirittura di 4 anni e sette mesi rispetto a chi lavora senza interruzioni perché deve aspettare la vecchiaia. Che attualmente è di 66 anni per gli uomini e per le lavoratrici del pubblico impiego, ma che è destinato ad aumentare essendo agganciato anch’esso alla speranza di vita Istat: dal 2013 sarà aumentato di tre mesi e poi via via salirà fino a superare i 70 anni nel 2051, in base alle simulazioni riportare nell’ultimo rapporto del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale. «Trasversale a tutte le simulazioni, in particolare per i lavoratori autonomi, è il tema del secondo requisito di pensione anticipata previsto dalla riforma Monti-Fornero, dedicato ai soli lavoratori nel sistema contributivo », aggiunge Carbone. Tale requisito (63 anni di vita incrementati, con 20 di contributi) prevede infatti che sia possibile beneficiarne solo se la pensione risulta pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale. Qualora la condizione non si verifichi, è necessario attendere i 70 anni (incrementati), oppure un altro requisito. «Nelle simulazioni è stato ipotizzato che la condizione venga soddisfatta, ma per alcuni profili, come i 30enni e 40enni che hanno iniziato a lavorare a 25 o 30 anni, qualora i contributi versati non fossero sufficienti, l’interruzione dell’attività lavorativa a 60 anni potrebbe significare un ulteriore spostamento dell’età pensionabile », sottolinea Carbone. Accanto al tema della copertura pubblica, c’è quello della previdenza complementare. Come ha chiarito Covip, i lavoratori in cassa integrazione o in mobilità possono riscattare il capitale accumulato nel fondo in misura pari al 50% nel primo caso e totalmente nel secondo caso. Ma i tassi di adesione alla previdenza complementare sono ancora bassi e farsi una pensione di scorta costa troppo. Ci vorrebbe quindi una spending review anche per i fondi pensione. A quasi sei anni dalla riforma dei fondi pensione, i costi per i lavoratori che aderiscono ai comparti di previdenza complementare non accennano a scendere, come emerge da un’analisi effettuata da MFMilano Finanza sugli Indicatori sintetici di costo (Isc) a 10 anni (aggiornati a fine agosto) che i fondi pensione sono obbligati a pubblicare e che riassumono l’incidenza dei costi sostenuti dall’aderente sulla propria posizione individuale per ogni anno di partecipazione secondo quattro possibili periodi di adesione al fondo (2, 5,10 e 35 anni). Il podio dei prodotti più cari a 10 anni è occupato dai piani individuali pensionistici (pip). I pip Chiara Vita comparto linea prudente e Bcc Vita comparti equity Asia, Europa e America hanno un Isc che arriva al 3,57%. All’opposto la linea più economica tra i pip è Reale linea prudente (0,57%). Nonostante commissioni elevate e l’assenza del contributo del datore di lavoro, questi sono anche i prodotti che registrano tassi di crescita nella raccolta più elevati grazie a una rete di vendita, composta da agenti e promotori, più motivata. Come sottolinea anche la Covip nella sua relazione relativa al 2011: «La maggiore o minore economicità della forma pensionistica non sembra rivestire un ruolo preponderante nelle scelte degli iscritti. Guardando agli ultimi tre anni, le adesioni individuali ai fondi pensione aperti sono cresciute del 14%, mentre quelle ai pip sono più che raddoppiate, sospinte da modalità di collocamento più aggressive anche in relazione alla tipologia personalizzata di servizio offerto». Tra i fondi pensione aperti invece il comparto più esoso è l’azionario di Helvetia Domani proposto da Helvetia Vita con un Isc del 2,54%, mentre il meno caro è il comparto Premium Tfr del fondo Conto Previdenza di Fondiaria-Sai (0,18%). Più economici i fondi pensione negoziali, anche in virtù del fatto che, a differenza dei fondi pensione aperti e dei pip, non devono remunerare una rete di vendita. Il meno caro è Perseo Garanzia (0,1%), mentre la più costosa è la Linea 1 del fondo pensione Previvolo (1,06%). Proprio il fondo riservato ai piloti e tecnici di volo è stato autorizzata dalla Covip nei giorni scorsi a fondersi in Fondav, il comparto dedicato al personale navigante di cabina, per dare vita a Fondaereo, il nuovo fondo pensione destinato ai piloti e agli assistenti di volo. Non è un caso che questa fusione abbia interessato proprio due piccoli fondi. La Covip preme per aumentare la taglia dei fondi pensione e quest’operazione si colloca in questo percorso di razionalizzazione delle forme pensionistiche. Una riduzione delle commissioni darebbe anche una marcia in più ai rendimenti dei fondi pensione per superare l’asticella del Trattamento di Fine Rapporto, la cui rivalutazione, essendo legata all’inflazione, è in continua crescita negli ultimi anni ed è destinata a salire ancora. Per esempio, nei primi nove mesi di quest’anno il Tfr lasciato in azienda si è rivalutato del 2,54% netto, contro il 6% medio me
sso a segno dai fondi pensione negoziali. (riproduzione riservata)