di Andrea Bassi

L’umore è nero. Il banchiere, al cronista che lo contatta, è disposto a rispondere alle domande solo dietro garanzia di anonimato. La legge di Stabilità è piena di brutte sorprese per il comparto bancario, a partire all’allungamento del periodo per dedurre gli ammortamenti affrancati. «Ma», è il ragionamento del banchiere, «se proprio dovessi scegliere una misura da eliminare a ogni costo da questo provvedimento non avrei dubbi: la Tobin tax». Non tanto perché il principio di tassare le transazioni finanziarie non sia ammissibile. Piuttosto per come è scritta la norma italiana. Il punto dolente sono i derivati. «La norma europea», s p i e g a a n c o – ra il banchiere, «prevede un prelievo dello 0,01%, quella italiana dello 0,05% sul valore nozionale. Nessuno potrà più fare coperture sui rischi». Insomma, compagnie aeree, società elettriche e anche le banche, rischiano di pagare un balzello elevatissimo per assicurarsi dalle fluttuazioni del prezzo del petrolio o da quelle dei tassi d’interesse, considerando che il nozionale è il valore dell’attività finanziaria (generalmente molto elevato) al quale si riferisce la copertura. Che una tassa così strutturata potesse essere tombale per il settore dei derivati, lo ha ammesso lo stesso governo nella sua relazione tecnica alla legge di stabilità, dove ha quantificato nell’80% la riduzione delle transazioni su derivati. Tutti indistintamente, quelli buoni (di copertura) e quelli cattivi (speculativi). In realtà la Tobin tax all’italiana è scritta male ed è, come ha fatto notare il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, facilmente eludibile. Se un operatore finanziario non residente in Italia fa un’operazione dall’estero su un titolo di Piazza Affari, la tassa non la paga. Il rischio, insomma, è che pezzi importanti dell’industria finanziaria italiana si spostino all’estero per by-passare la Tobin tax. E questo è solo uno dei problemi. Siccome l’Italia ha deciso di anticipare tutti sull’introduzione del prelievo, rischia che gli interventi degli altri siano più blandi e che a perderci, alla fine della giostra, sia solo Piazza Affari. Più che un indizio c’è già addirittura una prova che le cose stiano prendendo proprio questa piega. I cugini francesi hanno fatto addirittura prima dell’Italia a introdurre la tassa. Ma sono stati molto più accorti. La Tobin alla francese, innanzitutto, si applica a tutte le transazioni su titoli di Parigi, a prescindere dalla residenza dell’intermediario. Inoltre è stato deciso di esonerare dal balzello tutte le società con una capitalizzazione inferiore al miliardo di euro. Un modo per evitare di penalizzare i titoli meno liquidi. Inoltre i francesi hanno ben pensato di applicare il prelievo solo sulle posizioni nette di fine giornata e non su ogni transazione, in modo da ridurre l’impatto negativo su scambi e liquidità. La Tobin, dunque, rischia di avere ripercussioni sia sulle imprese che devono coprirsi dai rischi che sul mercato azionario. Eppure di spazi per modifiche sembrano essercene pochi. Pd e Pdl sono più concentrati sul dietrofront dell’aumento dell’Iva e su una revisione della manovra sulle detrazioni fiscali. Sulla Tobin tax la Commissione finanze della Camera ha solo aperto alla possibilità di rivedere il meccanismo del prelievo sulle transazioni di Borsa. Per i derivati le speranze di ritocchi sono invece prossime allo zero. A meno che non siano Mario Monti e Vittorio Grilli a ripensarci. (riproduzione riservata)