Sull’obbligatorietà della mediazione erano stati più possibilisti i consiglieri della Commissione europea, in una memoria di osservazioni alla Corte di giustizia (si veda ItaliaOggi del 2/8/2012), chiamata a valutare la conformità della legislazione italiana sulla media-conciliazione (dlgs 28/2010) alla normativa europea (direttiva 2008/52/Ce). La mediazione, in generale (e non solo quella obbligatoria) era stata censurata, in sede europea, in quanto la legge italiana costringeva le parti a conciliare prospettando maggiori spese in caso di rifiuto della proposta del conciliatore. La Corte costituzionale ha, invece, preso una posizione più rigida e ha ritenuto incompatibile il sistema dell’obbligatorietà della conciliazione.

Per conciliazione obbligatoria si intende la conciliazione in alcune materie, per le quali la procedura di mediazione rappresentava condizione di procedibilità. Si tratta delle controversie in materia di: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.

In queste materie torna, dunque, la regola generale, per cui è rimessa alla libera scelta degli interessati se avvalersi della conciliazione oppure no.

La conciliazione viene ricondotta a una libera scelta dell’interessato. Potrebbe trattarsi di un effettiva disponibilità a trovare una soluzione transattiva, con la prospettiva non disprezzabile di risparmiare tempo (la mediazione dura al massimo quattro mesi) e denaro (la mediazione costa mediamente meno di una causa). Oppure potrebbe, anche, trattarsi di uno stratagemma per mettere in cattiva luce l’avversario, accusandolo di mancata collaborazione, confidando che il giudice ne tenga conto. Sta di fatto che con il regime abrogato dalla sentenza della Consulta questa libertà non c’era: la previsione della mediazione come condizione di procedibilità era un vincolo insuperabile. Questo significava che la causa poteva anche essere iniziata, ma non poteva andare avanti se le parti non si fossero prima rivolte a un organismo di conciliazione. Il legislatore, in realtà, si era posto il problema se la condizione di procedibilità fosse o meno costituzionale, ma aveva risposto di sì, spiegando che avere configurato una condizione di procedibilità (e non una condizione di ammissibilità) avrebbe messo al riparo da eventuali contestazioni di violazione del diritto di difesa. La condizione di procedibilità non impedisce, infatti, di proporre una causa senza avere interpellato l’organismo di conciliazione, provocando solo lo stop del giudizio e il rinvio all’organismo.

In realtà questo meccanismo a seguito di alcune modifiche non funzionava esattamente così. Il mancato passaggio dall’organismo non era indolore. Ciò perché in base all’articolo 8, comma 5, ultimo periodo, è stata introdotta la regola per cui il giudice doveva condannare la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5 (conciliazione obbligatoria), non avesse partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. In alcuni tribunali si ironizzava sulla figura del giudice trasformato in un vigile munito del blocchetto delle contravvenzioni pronto a elevare la multa per mancata conciliazione. Obiettivamente, tuttavia, le sanzioni economiche hanno forzato il carattere dell’obbligatorietà. In ogni caso, ora, il meccanismo dell’obbligatorietà è stato eliminato, anche se per una ragione formale e cioè l’eccesso di delega del decreto 28/2010. Ciò potrebbe preludere alla possibilità per il legislatore di reintrodurre l’obbligatorietà, anche se solo con una apposita legge. Sul punto è necessario attendere le motivazioni della sentenza della corte costituzionale. Nell’immediato le ricadute sul piano normativo della sentenza sono molteplici. Innanzitutto le materie a conciliazione obbligatoria vengono riportate a conciliazione facoltativa; viene abrogata la condanna a pagare una somma corrispondente al contributo unificato, che il giudice doveva pronunciare quando la parte costituita non avesse partecipato al procedimento senza giustificato motivo; l’informativa dell’avvocato deve riguardare solo ipotesi di conciliazione facoltativa, non essendoci più casi di mediazione obbligatoria. Non va trascurata, infine, una norma che potrebbe spingere alla conciliazione. Il decreto sui parametri dei compensi professionali (dm 140/2012) prevede all’articolo 4 che, quando il procedimento si conclude con una conciliazione, il compenso del legale sia aumentato fino al 25% rispetto a quello liquidabile usando i parametri ordinari.