Pubblichiamo di seguito l’intervento del presidente ANIA Aldo Minucci, in occasione del 14° Annual Assicurazioni organizzato martedì da Il Sole 24 Ore a Milano. Minucci ha analizzato la congiuntura attuale, commentato le recenti misure previste dalla legge di stabilità, il decreto crescita e fatto il punto su Solvency II, confermando le posizioni già note.

La congiuntura

Il quadro macroeconomico generale continua a presentare forti criticità,  soprattutto nell’area dell’euro.

La crisi che, da oltre un anno, ha colpito i titoli sovrani dei paesi europei più indebitati ha allontanato le prospettive di un rapido ritorno a un percorso di crescita.

La necessità di intervenire con misure incisive sul fronte della spesa e del debito pubblico ha imposto vincoli  crescenti all’azione di politica economica.  Il nostro Paese ha adottato numerose misure volte a riportare

sotto controllo l’andamento della finanza pubblica. Tali misure sono sicuramente servite a evitare che la situazione precipitasse, ma non si può certo dire che il pericolo sia passato. 

Lo  spread, nonostante gli andamenti positivi registrati da fine luglio per effetto del deciso intervento della BCE, si mantiene in un’area di rischio: non solo è ancora lontano dal valore dei 200 punti base che le stime della Banca d’Italia indicano come valore coerente con i fondamentali economici, ma soprattutto permane il timore che il precipitare della situazione in altri paesi possa innescare un effetto contagio.

Le previsioni di ripresa dell’economia  si spostano alla seconda metà del 2013: consumi e investimenti si contraggono, la disoccupazione sta aumentando rapidamente toccando  soprattutto giovani e donne, la

tassazione su famiglie e imprese ha raggiunto livelli elevatissimi, non sostenibili.

In questo quadro, la priorità è rilanciare la crescita. La stabilità dei conti pubblici è obiettivo imprescindibile ma, nella fase attuale, bisogna saperla coniugare con politiche attive a sostegno di famiglie e imprese.

Va in ogni modo evitato di entrare nel circolo vizioso, per cui un calo del PIL che non consentisse di raggiungere l’obiettivo del pareggio di bilancio, renderebbe necessarie manovre di riequilibrio che finirebbero per aggravare la recessione. 

L’unico modo per spezzare questo circolo è influire in modo deciso sui fattori fondamentali di crescita, creando le condizioni per stimolare investimenti e consumi.

A questi fini, il confronto in essere sulla produttività del lavoro assume un grande rilievo per dimostrare che le forze produttive hanno la capacità di promuovere il recupero di competitività del Paese. Anche se va sottolineato che la competitività dipende in larga misura da fattori diversi dal lavoro, come ad esempio la razionalizzazione delle strutture della Pubblica Amministrazione, il funzionamento della giustizia, l’ammodernamento delle infrastrutture.

Nel quadro delle iniziative dirette a favorire la crescita, la “Legge di stabilità” varata dal Governo nei giorni scorsi contiene alcune misure positive, tra le quali la riduzione delle aliquote per gli scaglioni di reddito

più basso,  la detassazione degli incrementi salariali legati alla produttività, la previsione di una rapida implementazione della direttiva sui pagamenti della Pubblica Amministrazione che, almeno per il futuro, dovrebbe mettere  a disposizione delle imprese la liquidità necessaria a ripristinare il normale funzionamento dei rapporti di credito commerciale. 

Ma dobbiamo registrare – con forte preoccupazione – che il disegno di legge in questione dispone un ulteriore aggravio della tassazione a carico delle imprese.

Innanzitutto, sono previste disposizioni che penalizzano la deducibilità dell’ammortamento, ai fini fiscali, dei maggiori valori civilistici affrancati con l’applicazione di un’imposta sostitutiva. Nella sostanza,

l’ammortamento viene differito di cinque periodi di imposta rispetto a quanto originariamente previsto. 

In particolare poi per il settore assicurativo, già pesantemente colpito da una maggiorazione dell’aliquota IRAP e da una doppia tassazione sulle riserve, il provvedimento prevede di innalzare dallo 0,35% allo 0,50%

l’aliquota di tassazione delle riserve tecniche.

Si tratta di un prelievo aggiuntivo di 623 milioni che potrebbe determinare effetti molto negativi sui flussi di liquidità delle imprese del ramo vita, che già risentono sia del calo della nuova produzione sia di un aumento dei riscatti determinato dalla difficile congiuntura per le famiglie.

La manovra prevede, inoltre, l’introduzione della cosiddetta “Tobin tax”, ossia una tassa sulle transazioni finanziarie, che colpirà anche l’operatività delle imprese di assicurazione nei loro investimenti a copertura delle riserve tecniche. 

Queste ultime due misure potrebbero incidere negativamente sui rendimenti delle polizze vita, con la  possibile conseguenza di indebolire ulteriormente la raccolta premi che, nei primi otto mesi dell’anno, registra una diminuzione di quasi il 15% rispetto al periodo corrispondente del 2011. 

Sul fronte della redditività del settore, dopo che nel 2011 si è registrata la più forte perdita del recente passato, si sono manifestati nell’anno in corso  alcuni segnali positivi, connessi sostanzialmente con il recupero del valore di mercato dei titoli, principalmente quelli di Stato.

Le relazioni semestrali evidenziano, infatti, un utile complessivo di 3 miliardi di euro – a fronte di 0,9 miliardi nel 1° semestre del 2011 –, da ascrivere a un miglioramento significativo del risultato tecnico vita, cui si è

accompagnato un saldo tecnico danni più contenuto ma anch’esso positivo.

E’ di tutta evidenza, però, che questi risultati potranno trovare conferma a fine esercizio solo se non interverrà un peggioramento nella situazione dei mercati finanziari, con una conseguente perdita di valore dei titoli italiani.

Il quadro normativo:

a) il recente Decreto per la crescita

Le prospettive dell’industria sono fortemente condizionate dall’evoluzione del quadro normativo in cui le imprese sono chiamate a operare. 

Il recente Decreto  contenente “ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese” ha introdotto alcune norme  che riguardano direttamente il settore assicurativo. Si tratta, in particolare, dell’art. 21 (“misure per

l’individuazione e il controllo delle frodi assicurative”) e dell’art. 22 (“misure a favore della concorrenza e della  tutela del consumatore nel mercato assicurativo”).

Contrasto alle frodi

L’art. 21, in estrema sintesi, assegna all’IVASS competenze per la prevenzione delle frodi r. c. auto. La normativa ritaglia per l’IVASS un ruolo di interlocutore e collaboratore delle imprese e delle forze inquirenti ai fini dell’esercizio dell’azione penale.

In questa sua nuova funzione, l’IVASS  si avvarrà, oltre che della propria banca dati sinistri r. c. auto, di un archivio informatico integrato con le banche dati pubbliche e private contenenti informazioni pertinenti alla

missione affidata. 

Considerata la dimensione dei fenomeni fraudolenti – soprattutto in alcune aree del Paese –  e il loro impatto sul costo dei sinistri nel settore r. c. auto, queste misure rappresentano sì un importante passo in avanti, ma bisogna fare di più. 

In altri Paesi, la lotta alle truffe è  efficace grazie a sistemi antifrode che impiegano – oltre alla tecnologia informatica – strumenti investigativi gestiti in partnership con le forze dell’ordine. 

L’ANIA aveva proposto la costituzione di una vera e propria struttura antifrode, in analogia all’Unità di informazione finanziaria (UIF), ossia la struttura nazionale incaricata di prevenire e contrastare il riciclaggio

istituita presso la Banca d’Italia e dotata di autonomi poteri di esercizio dell’azione penale.

Sarebbe opportuno seguire questo modello, per dare un vigoroso impulso alla lotta alle truffe e costituire un potente deterrente all’attività criminosa.

In questa prospettiva, andranno altresì rivisti i brevissimi termini concessi alle compagnie per offrire la liquidazione dei sinistri, termini che non consentono di raccogliere gli elementi necessari per respingere le richieste  fraudolente.

Concorrenza, distribuzione, trasparenza

L’art. 22 mira all’obiettivo – così  recita la relazione illustrativa – di promuovere la concorrenza nel settore dell’assicurazione r. c. auto, attraverso una maggiore mobilità del consumatore, favorita da un’accresciuta consapevolezza e informazione sui prodotti esistenti sul mercato.

E’ chiaro che l’obiettivo ultimo di queste misure è conseguire una riduzione del prezzo della r. c. auto.

Consentitemi di osservare che, se l’obiettivo è giusto, sono però sbagliati gli strumenti, o almeno alcuni di essi.

Il Decreto, infatti, muove da alcuni presupposti che non trovano riscontro  nella realtà del mercato, ossia che l’assicurazione r. c. auto in Italia sia  caratterizzata da:

–  scarsa concorrenza fra imprese;

–  ridotta mobilità degli assicurati;

–  mancata conoscenza delle offerte presenti sul mercato.

Sotto il primo profilo, è noto che in Italia, nel settore della r. c. auto, operano moltissime imprese, tra cui le più importanti imprese internazionali, che praticano politiche di distribuzione e di prezzo  fortemente differenziate fra di loro. Per fare un esempio, la tariffa (senza considerare eventuali sconti) per una casalinga di Roma con un’autovettura di 1100 cc, in classe bonus-malus di massimo sconto, può variare da 360 a

quasi 1.000 euro. 

Il consumatore ha già oggi tutti gli strumenti per confrontare le diverse offerte disponibili sul mercato. L’Autorità di vigilanza ha messo a disposizione degli utenti il “Preventivatore Unico” per confrontare i

preventivi r. c. auto di tutte le imprese operanti. Ogni impresa di assicurazione, inoltre, deve mettere a disposizione sul proprio sito Internet un preventivatore con la propria offerta. 

Una differenza di prezzo così significativa, come quella che ho descritto prima, non può che riflettere differenti attitudini al rischio da parte delle imprese e diversa qualità  del servizio. Questa è la concorrenza.

Per quanto riguarda la mobilità degli  assicurati, risulta dalle indagini di customer satisfaction, che svolgiamo ogni due anni insieme a Eurisko, che il 17% circa degli assicurati r. c.  auto ha cambiato  nel 2009/2010 la

compagnia di riferimento. Non è una percentuale bassa. 

Secondo i risultati un’indagine comparativa svolta da una primaria società internazionale, infatti, la mobilità nel ramo r. c. auto è, in Italia, seconda solo a quella del Regno Unito, dove peraltro i prezzi delle polizze sono negli anni recenti aumentati molto più che da noi.

Certamente alcune delle previsioni del Decreto in questione vanno nella giusta direzione, anche se è difficile credere che potranno avere un effetto rilevante sul prezzo delle polizze. Rientrano fra queste la durata annuale dei contratti r. c. auto e il divieto di tacito rinnovo, la creazione di aree specifiche di consultazione sui siti Internet delle imprese, l’armonizzazione della disciplina sugli standard di formazione degli intermediari. 

Altre disposizioni del Decreto, invece, sollevano diverse perplessità.

Contratto base e home insurance

Mi riferisco, innanzitutto, alla misura che impone un “contratto base” r. c. auto con clausole comuni che le imprese devono offrire al consumatore, anche via internet, ferma restando la libera determinazione del prezzo.

Per favorire la comparazione di prodotti diversi – obiettivo condivisibile – si rischia infatti di violare l’autonomia, in materia di offerta contrattuale, sancita per le imprese di assicurazione dai principi comunitari. È come se si imponesse a tutte le case automobilistiche di produrre una “vettura base” di cilindrata prefissata e con le stesse caratteristiche. 

In ogni caso, se la norma rimanesse così, riteniamo che dovrebbe essere abrogata almeno la previsione, introdotta di recente, di offrire al cliente tre preventivi al momento della stipula del contratto, in quanto la “polizza base” assolverebbe gli obblighi di confronto e informazione.  

Vi è poi il delicato problema se l’offerta delle imprese debba avere solo carattere informativo o, invece, debba essere intesa come obbligo di concludere il contratto via Internet.  In quest’ultimo caso, si potrebbe

assistere a significativi fenomeni di  disintermediazione a danno delle reti distributive tradizionali.

La stessa tematica sorge sul tema della cosiddetta “home insurance”  ossia sull’obbligo, previsto dal comma 8 dell’art. 22, di rendere accessibili, ai contraenti di polizze relative a tutti  i rami, apposite aree sui propri siti

internet per consentire di consultare lo stato dei pagamenti e le relative scadenze, i valori di riscatto delle polizze vita, con possibilità, inoltre, di effettuare rinnovi contrattuali e pagamento di premi.

Da parte nostra evidenziamo che le criticità esecutive di impianto inducono a proporre una limitazione dell’applicazione della disposizione ai nuovi contratti, con tempi congrui per la realizzazione dei sistemi operativi (minimo 12 mesi) e limitata alle sole funzioni informative. 

La collaborazione fra intermediari

Siamo infine nettamente contrari alle  disposizioni che prevedono la c.d. “collaborazione tra intermediari” di  primo livello, ossia agenti, broker, banche, SIM, istituti finanziari e Poste italiane.

Per agevolare l’attuazione di questa misura, il Decreto – considerato che gli agenti di compagnie differenti utilizzano piattaforme informatiche di dialogo con le proprie mandanti che sono diverse  l’una dall’altra – ha previsto l’adozione, da parte di tutte le imprese, di uno standard di piattaforma comune su Internet per la gestione e la conclusione dei contratti assicurativi.

Appare in primo luogo sorprendente – e contrario alla logica di un mercato libero e concorrenziale – che un’impresa debba accettare che un proprio agente le faccia concorrenza, segnalando la possibilità di concludere un contratto con un altro competitore.

Peraltro, l’allungamento della filiera distributiva, con l’intervento di più di un intermediario, comporta inevitabilmente un aumento dei costi a carico degli assicurati.

Si mettono così a rischio gli investimenti pluridecennali in tecnologia e in promozione effettuati dalle imprese in favore dei propri agenti, costringendole a nuove soluzioni informatiche complesse, da condividere non si sa con quanti concorrenti.

Le imprese hanno investito nelle loro agenzie – anche attraverso la formazione degli addetti e la messa a disposizione dei sistemi operativi e dei locali –  per poter caratterizzare i propri servizi al cliente e distinguersi dalla concorrenza. Scardinando questo sistema si mina alla base il rapporto di fiducia che intercorre fra agente e compagnia.

Con misure come questa si distorce  pesantemente la concorrenza, in quanto competitori esterni potrebbero entrare nel mercato italiano senza sostenere i costi degli investimenti  necessari per istituire una rete di distribuzione.

In questa nuova prospettiva, gli assetti negoziali ed economici dei contratti di agenzia andrebbero rivisti completamente, nell’ambito di un più generale ripensamento delle strategie di distribuzione. Uno scenario prevedibile è quello di una progressiva disintermediazione delle reti tradizionali a favore,  ad esempio, dei canali di vendita diretta. 

Per tutti questi motivi, secondo noi, queste norme vanno stralciate. 

Ridurre il costo dei sinistri per ridurre i prezzi r. c. auto

Per arrivare a un duraturo e sostenibile trend discendente dei prezzi r. c. auto c’è un’unica strada: intervenire sui fattori strutturali che mantengono  elevato il costo dei sinistri.

Va in questa direzione l’intervento, nel Decreto “Liberalizzazioni”, sui danni alla persona di lievissima entità, di cui si cominciano a registrare i primi segnali positivi, nonostante le forti resistenze dei professionisti del danno, che vedono intaccare una parte del loro giro d’affari.

Ma questa misura non è sufficiente.  Per incidere in modo duraturo sul costo dei sinistri bisogna, anzitutto,

procedere all’emanazione della tabella  relativa alla valutazione economica  dei danni gravi alla persona prevista  dal Codice delle assicurazioni (dal  2005), stabilendo valori in linea con quelli europei. 

Bisogna poi eliminare le previsioni che determinano vantaggi impropri a chi   intende speculare, come la norma che ha ridotto a due giorni il termine  entro cui la compagnia può ispezionare i danni del veicolo. 

È inoltre necessario abbreviare i tempi (oggi previsti in un massimo di due anni dall’emanazione del Regolamento attuativo) per il completamento della “dematerializzazione” dei contrassegni assicurativi, misura indispensabile per contrastare efficacemente le contraffazioni dei documenti r. c.  auto. 

Occorre, infine, incentivare la riparazione diretta dei veicoli in luogo del risarcimento in denaro, come strumento efficace sia per la riduzione dei costi dei danni materiali sia per il controllo anti-speculativo dei sinistri. 

Solo con l’attuazione di queste ulteriori misure le imprese potranno  procedere a una significativa riduzione dei prezzi della r. c. auto.

Il quadro normativo: b) Solvency II

Uno sguardo alle prospettive dell’industria assicurativa,  infine,  non può  prescindere da qualche considerazione su Solvency II. 

Il mancato raggiungimento di un accordo “politico” tra le diverse istituzioni  europee, lo scorso luglio, ha fortemente accresciuto l’incertezza sul timing effettivo del progetto.

Vorrei sottolineare alcuni punti fermi in merito alla posizione dell’industria  assicurativa su questo tema:

– le ragioni che hanno fatto sì che gli assicuratori italiani, così come quelli  europei, abbiano sin dall’inizio  sostenuto il progetto non sono  certamente venute meno;

– la crisi finanziaria, esplosa nel 2008, se da un lato ha accentuato la  necessità di un sistema di vigilanza prudenziale che incentivi la gestione efficiente del rischio, dall’altro ha evidenziato che l’originaria

impostazione di Solvency II non offriva alle imprese strumenti  idonei a fronteggiare condizioni di volatilità estrema nei mercati finanziari;

–  Solvency II deve essere portato a termine, ma con un disegno appropriato, con strumenti anticiclici che permettano all’industria di continuare a offrire garanzie di  lungo termine e a investire con un orizzonte temporale di lungo periodo;

– a questi fini, il cosiddetto “premio anticiclico” e il “Matching Adjustment”  rappresentano due strumenti utili e  l’auspicio è che possano essere  introdotti nel sistema senza vincoli eccessivi, che li renderebbero

inefficaci. Lo studio di impatto che sarà avviato il prossimo mese di  novembre dovrebbe servire a chiarire definitivamente l’importanza di  queste misure, essenziali per il futuro dell’industria. 

L’industria assicurativa ha bisogno di regole chiare e ben ponderate, da  applicare in un tempo certo e ragionevole. Le nostre imprese debbono  proficuamente impiegare il tempo derivante da questo rinvio, per arrivare  ben preparate all’entrata in vigore.

Conclusioni

Avviandomi a concludere, e ragionando quindi in termini di “outlook”, ossia  di prospettive per l’industria assicurativa italiana, mi trovo costretto,   inevitabilmente, a porre l’accento su quello che possiamo definire come  “rischio regolamentare”.

In un quadro macroeconomico in cui persistono molteplici fattori di  incertezza, sia a livello nazionale sia a livello europeo e globale, assistiamo  in Italia al continuo varo di provvedimenti che introducono vincoli ulteriori  e pesanti all’operatività delle nostre imprese.

Pur soggette a una tassazione di gran lunga superiore a quella applicata ai  concorrenti esteri, la tendenza – come dimostrato dalla recente “Legge di  stabilità” – è quella di un aumento ulteriore della pressione fiscale.

Pur essendo caratterizzato  il nostro mercato da un costo dei sinistri r. c.  auto che è decisamente più elevato di quanto si riscontra all’estero, il  legislatore, lungi dall’intervenire per  la riduzione di tale costo, impone

nuovi vincoli – contrattuali e organizzativi – agli assicuratori italiani,  distorcendo il funzionamento del mercato e della concorrenza, con l’effetto  ultimo di comportare maggiori costi per tutti.

Verrebbe veramente da chiedersi, alla  luce di questi sviluppi normativi,  perché mai l’industria assicurativa debba ripetutamente  essere oggetto di  interventi penalizzanti.

Un’industria che – lo ricordo – investe oltre 500 miliardi di euro con criteri  di prudenza e orizzonte di lungo termine. Un’industria che detiene oltre  200 miliardi del debito pubblico italiano e non lo ha smobilizzato nei  periodi di più forte turbolenza finanziaria.

Un’industria che, tra addetti diretti e indiretti, da lavoro a quasi 300 mila  persone e che ha mantenuto i livelli occupazionali  in un periodo di intensa  crisi economica e finanziaria. Un’industria che, sulla spinta delle forze di  mercato, ha visto una progressiva diversificazione dei canali distributivi  con l’obiettivo di soddisfare sempre meglio i bisogni di sicurezza di famiglie  e aziende.

Alla luce della crescente importanza dei rischi di lungo termine (longevità, salute, calamità naturali), le imprese di assicurazione italiane sono chiamate a un ruolo sempre più rilevante sul piano economico e sociale. 

Ma esse non possono essere lasciate sole. Serve una politica assicurativa lungimirante, non basata sulle emergenze di breve termine o su istanze demagogiche,  che consenta alle imprese di svolgere questo ruolo in modo efficiente e sostenibile.