Pagina a cura DI GABRIELE VENTURA Tra i 500 e i 600 milioni di euro. Tanto vale, secondo gli addetti ai lavori, il totale degli investimenti effettuati in questi due anni e mezzo nella mediazione obbligatoria da società private, ordini professionali, camere di commercio: cioè tutti gli attori che hanno puntato su un sistema ormai crollato sotto la scure della Corte costituzionale, che ha cancellato l’obbligatorietà di tentare la via stragiudiziale prima di andare in tribunale (si veda ItaliaOggi del 25 ottobre scorso). Sì, perché con la mediazione facoltativa lo scenario che si prospetta è un bagno di sangue: ci saranno più mediatori abilitati che mediazioni. Basti pensare che i conciliatori sono 40 mila e i procedimenti facoltativi non superano le 20 mila unità l’anno. Motivo per cui chi ha investito centinaia di migliaia di euro per creare e avviare strutture che ora non servono più, sta già pensando alle contromosse: da una possibile class action, a un’attività di pressione nei confronti della politica per riparare al danno in via legislativa, a chi invece ha trasformato il proprio organismo in camera arbitrale. Insomma, nella mediazione facoltativa non ci crede nessuno. Vediamo perché. La mediazione facoltativa. Secondo i dati della direzione di statistica del ministero della giustizia, quasi l’80% dei circa 100 mila tentativi di conciliazione avviati nel primo anno di vita dello strumento era dovuto all’obbligatorietà. Circa il 20% è stato invece di natura facoltativa. Un dato, quello dello scarso appeal della mediazione come strumento alternativo di giustizia, confermato dai dati precedenti l’entrata in vigore del dlgs n. 28/2010, e quindi dell’obbligatorietà. Nel 2009, secondo le rilevazioni Isdaci, i procedimenti erano stati infatti circa 20 mila. E, secondo gli esperti del ministero della giustizia, la possibilità che si torni ai vecchi numeri, eliminata l’obbligatorietà, è la più probabile. La conseguenza è che la maggior parte dei quasi mille organismi iscritti al registro del ministero della giustizia scompariranno. E migliaia di mediatori resteranno senza lavoro. Gli scenari. A questo punto decisive, sulle sorti dell’intero impianto normativo, saranno le motivazioni della Corte costituzionale. Secondo gli addetti ai lavori, infatti, se l’obbligatorietà è cancellata solo per un vizio formale di eccesso di delega rispetto all’art. 60 della legge n. 69/2009, dove non è prevista esplicitamente, allora la legge dovrebbe restare in piedi anche se zoppa del suo pilastro portante. Se invece verrà rilevata, nell’obbligatorietà della mediazione, una preclusione all’accesso alla giustizia, allora l’intero impianto potrebbe decadere. In ogni caso, le decine di migliaia di attori coinvolti si stanno già organizzando per fare fronte comune. L’ipotesi che circola con più insistenza è quella di una class action nei confronti dello stato. Le ultime statistiche. Dopo un inizio a dir poco stentato, la mediazione aveva trovato un buon ritmo, in particolare dopo l’avvio della fase due, ovvero l’entrata in vigore dell’obbligatorietà anche per condominio e risarcimento danni. L’andamento a regime, da maggio a oggi, secondo i dati del ministero della giustizia, è pari a circa 20 mila procedimenti al mese. Contando il fi siologico calo di agosto, quindi, si può ipotizzare una cifra pari a circa 200 mila mediazioni avviate dal 21 marzo 2011 a oggi. I principali attori in campo sono le camere di commercio, con più di 100 organismi iscritti al registro, gli ordini degli avvocati (115 organismi a giugno scorso) e quelli dei commercialisti (circa 50), e le restanti 600 società private, che, secondo gli ultimi dati diffusi da Unioncamere, hanno avuto una crescita esponenziale soprattutto al centro Sud, con Lazio, Campania, Sicilia che concentrano il 40% dei centri di mediazione. Oggi a rischio chiusura.