di Teresa Campo

La pensione ci appare sempre più a rischio, risicata, lontana. E quindi andrà integrata con redditi aggiuntivi. Derivanti dai sempre più numerosi e collaudati fondi pensione integrativi. O anche dall’affitto di un’abitazione che, pur penalizzata da un mercato immobiliare in discesa e da una tassazione in salita, non perde tuttavia il suo appeal. Dal raffronto effettuato da Progetica tra gli investimenti nelle due categorie (ipotesi di versamento di 100 mila euro in unica soluzione) emerge infatti una situazione tutto sommato equilibrata, sia pure con alcuni importanti distinguo. Intanto la simulazione attuale, aggiornata con gli ultimi dati dell’Agenzia del Territorio e tenendo conto sia del regime di cedolare secca per gli affitti sia dell’Imu, non mostra una situazione molto divera rispetto al passato. «È vero che la cedolare secca migliora la redditività da affitto», spiega Egidio Vacchini, amministratore delegato di Progetica, «ma non tanto da stravolgere le soglie di convenienza dei due investimenti, immobili da una parte e fondi pensione dall’altra. Lo stesso vale per l’Imu, di cui peraltro non sono ancora note le aliquote definitive». Per questa ragione, oltre che per rendere confrontabili le due asset class, sia per i fondi pensione sia per le abitazioni sono stati presi a riferimento i valori medi. Per i fondi si considerano solo le linee bilanciate con costi intermedi e appunto si ipotizza il versamento in unica soluzione. Per le case invece Progetica ha stimato quale tipo di abitazione, o quanti metri quadrati della stessa, è possibile acquistare con 100 mila euro e quale affitto è possibile ricavarne. Sono stati presi in considerazione immobili di tre città grandi e di tre medie, in zone semicentrali, di tipo civile e normale stato d’uso. I canoni di affitto netti sono stati ottenuti abbattendo del 50% i lordi, in modo da tenere conto di spese condominiali a carico del proprietario, imposte varie e aliquota marginale. Il valore degli immobili è stato rivalutato dello 0,5% annuo oltre l’inflazione. Le differenze importanti tra mattone e fondo sono essenzialmente due «e rappresentano anche i criteri guida che devono spingere verso una soluzione o l’altra», aggiunge Vacchini. «In primo luogo, la validità è legata all’età in cui avviene il versamento: se si è giovani conviene il fondo pensione, che ha tutto il tempo di incrementarsi. Se si è almeno cinquantenni invece è meglio la casa: è vero infatti che anche in questo caso si accumulano meno canoni d’affitto, ma il capitale iniziale resta integro e a disposizione dell’investitore, cosa che non avviene col fondo». Le altre differenze sono legate a mortalità e successione. In queste ipotesi ovviamente il fondo pensione perde perché non assicura nulla agli eredi e in caso di premorienza l’investitore recupera anche poco rispetto al capitale versato, svantaggio che però si trasforma in un atout nell’ipotesi opposta. In cifre, come mostra la tabella in pagina, un trentenne che punta sul fondo, qualora arrivasse a 90 anni di età, avrà avuto un ritorno di 357 mila euro contro i 210-230 mila (a seconda del regime fiscale adottato) che avrebbe avuto scommettendo sulla casa. Al contrario a un cinquantenne sempre a 90 anni il fondo avrà fruttato 207 mila euro contro i 200-210 mila della casa. Tra l’altro l’investimento immobiliare non fa differenza tra uomo e donna e quindi in caso di investimenti al femminile la bilancia pesa un po’ più a favore della casa. Occhio comunque ai rischi, soprattutto per quanto riguarda gli immobili: morosità e sfitto abbattono la rendita finale, quindi occorre puntare su case con buona commerciabilità e prezzi non troppo cari. «Infine, se non si hanno eredi a cui si tiene, per esempio i figli, meglio sempre il fondo pensione », conclude Vacchini, «perché la rendita mensile è sempre più alta rispetto al canone d’affitto. E poco importa se non resta un capitale ». (riproduzione riservata)