di Mario Comana*

Pensare di ripristinare l’equilibrio del sistema finanziario introducendo una tassa sulle transazioni è come pretendere di aggiustare il meccanismo di un orologio versandoci dentro della sabbia. La Tobin tax è sbagliata per diversi motivi. Intanto sarà bene ricordare che il suo inventore fu sì un grande studioso, ma come tutti i geni aveva il gusto del paradosso e della provocazione. Non sono sicuro che lui stesso ci credesse fino in fondo. Il primo motivo per cui è sbagliata è che non consegue alcuno degli scopi che si prefiggono le tasse: non darà benefici economici perché, se sono vere le stime dei banchieri svizzeri, il gettito sarà inferiore al calo di pil che genererà; non avrà effetti redistributivi perché tassa un comparto, quello finanziario, già in ginocchio; non avrà effetti di moralizzazione della finanza e di freno alla speculazione perché, secondo l’associazione degli intermediari mobiliari inglesi, non colpisce l’intraday trading. Naturalmente queste osservazioni sono da verificare alla luce della struttura dettagliata del testo legislativo, che non è ancora nota. Prendiamo queste critiche almeno come un ammonimento. Il secondo motivo di critica è sul perimetro di applicazione. Perché includere anche gli operatori retail? Davvero se la casalinga di Voghera vende i suoi Cct mette a repentaglio la finanza mondiale? Non c’è alcun motivo plausibile per far rientrare nell’ambito della tassazione la clientela privata, che rappresenta una frazione modesta degli scambi e non costituisce certo un fattore destabilizzante. Per non parlare della tassazione sulle transazioni in titoli di emittenti nazionali effettuate fra controparti non residenti, come sta facendo la Francia. Ma allontanare l’interesse degli investitori dai propri strumenti è semplicemente autolesionistico. In terzo luogo la Tobin tax è sbagliata perché favorisce, indirettamente, la staticità dei portafogli. Questa tassa, infatti, non colpisce né la ricchezza (come una patrimoniale) né la rendita (come una tassa sul reddito) ma semplicemente la movimentazione. Qual è il presupposto per penalizzare la dinamica di un portafoglio? O, viceversa, per premiare la sua staticità? Pare saranno esclusi i fondi pensione che per natura dovrebbero movimentare poco: perché allora non escludere tutti le gestioni collettive, come fondi e sicav, considerato che hanno un orizzonte temporale più breve di quello dei fondi pensione? Quarto errore: nel momento in cui c’è bisogno che le imprese attingano a canali di finanziamento diversi da quello bancario, il governo studia i mini bond e la Consob torna a parlare di mercato delle pmi, è contraddittorio introdurre ostacoli o comunque attriti al mercato secondario di questi futuri titoli. Ma soprattutto è incomprensibile la premessa da cui sembra muovere il tutto, e che si trova fra le considerazioni introduttive, ossia che il settore finanziario sia sottotassato e non abbia pagato abbastanza per la crisi di cui sarebbe responsabile. Forse nessuno si è accorto che gli azionisti delle banche hanno perso fra l’80 e il 90% del loro valore e che le banche italiane hanno un tax rate reso molto pesante dal combinato disposto di bassa redditività, Irap e meccanismo di deducibilità delle perdite su crediti? Sembra emergere ancora una volta l’intento punitivo e demagogico del provvedimento, volto a colpire il sistema finanziario indiscriminatamente, senza considerare che, per esempio, le banche italiane nella crisi sono state più vittime che carnefici. (riproduzione riservata) *ordinario di Economia degli intermediari finanziari, Luiss Guido Carli Roma