Giovanni Pons

L a rivoluzione dei salotti buoni potrebbe partire dal più blasonato di essi, le Generali. Il fatto insolito, almeno per l’Italia, è che si tratta di una rivoluzione silenziosa e innescata da un solo uomo, seppur stimato e con un curriculum di tutto rispetto. Se poi quel manager comincia a operare seguendo una logica diversa rispetto al passato e con una mentalità da grande azienda di mercato, spersonalizzando le decisioni importanti e cercando di utilizzare solo la razionalità, allora c’è da drizzare le antenne. A soli tre mesi dall’arrivo di Mario Greco al vertice del Leone di Trieste, avvenuta lo scorso agosto, in qualità di unico amministratore delegato al posto del tandem Giovanni Perissinotto-Sergio Balbinot, la scelta si sta già rivelando un passo non da poco sulla strada di un rinnovamento radicale della compagnia. «Una grande azienda internazionale come le Generali non può essere vestita da società italiana», è stata una delle prime sentite pronunciate da Greco quando si è presentato ai suoi collaboratori a Trieste. Nessuno in effetti si aspettava che in meno di novanta giorni il nuovo ad ridisegnasse da cima a fondo l’organigramma degli uomini di comando che dovranno proiettare le Generali nel futuro. Senza più barriere tra business italiano ed estero, retaggio di un’impresa che guarda più al proprio ombelico che fuori dai confini nazionali, avendo come faro le funzioni operative e parlando in maniera chiara e diretta

ai diversi manager che si è trovato davanti, Greco sembra aver per il momento incassato un ampio consenso. Inviando, allo stesso tempo, un segnale forte ai mercati: d’ora in poi le Generali saranno gestite da un team, una squadra di manager che settimanalmente si riunirà nel nuovo Group Management Comittee (Gmc) sul cui tavolo passeranno tutte le decisioni operative e che poi approderanno in consiglio di amministrazione. Nel formare la nuova squadra Greco ha sapientemente usato il bastone e la carota. La soluzione trovata per Balbinot, per esempio, che nel nuovo organigramma diventa il vice di Greco nel Gmc con responsabilità su tutte le attività assicurative (ma al contempo esce dal board) è un esempio di come sia riuscito a valorizzare le risorse interne. Cercando al contempo di sradicare la vecchia mentalità delle cordate e delle faide, in base alle quali alcuni manager erano favoriti nel percorso di carriera e altri no. Quando dopo 15 giorni dal suo arrivo un big manager del gruppo gli si è presentato dicendo che i partner indiani di Generali dovevano essere rifinanziati perché non avevano le risorse per andare avanti lui ha risposto di cercarne altri poiché le Generali non sono una banca e i partner devono avere le spalle forti. Oppure quando si è deciso che dal primo gennaio 2013 le Generali si riassicureranno con le stesse Generali al 100% e non al 50% come succedeva in precedenza, fatto che dava origine a clientele di vario tipo, nessuno ha osato fiatare e tutti si sono adeguati. A Greco in questi 90 giorni è riuscito anche di domare Raffaele Agrusti, per lunghi anni braccio destro di Perissinotto e l’uomo a cui tutto faceva riferimento in Generali. Agrusti dovrà in breve tempo presentare al board un piano di riorganizzazione del business assicurativo in Italia dove la compagnia opera con sei marchi diversi e con strutture moltiplicate per sei con relativo aggravio di costi. «E’ la cosa che bisogna fare da tanti anni a questa parte», sembra abbia risposto Agrusti, mostrandosi interessato alla sfida. Certo, all’inizio può sembrare tutto più facile, si vedrà più avanti se il team messo insieme da Greco sarà veramente coeso. Intanto ha chiamato da fuori un uomo di sua fiducia, Alberto Minali, in una delle funzioni più delicate in assoluto per una compagnia, la gestione finanziaria. Mentre per la nuova funzione di Chief Investment Officer un cacciatore di teste sta selezionando una serie di candidati sia interni che esterni all’azienda. Costui, chiunque sia, dovrà eseguire al meglio la strategia di investimento decisa dal Gmc per tutte le asset class del gruppo, cioè azioni, obbligazioni e immobili. Si tratta del tesoretto da oltre 400 miliardi rappresentato dai soldi raccolti con i premi delle polizze. Anche in questo caso l’approccio di Greco è pragmatico e in linea con le pratiche internazionali dei suoi principali concorrenti. Innanzitutto non si investe in paesi dove non si effettua raccolta, cioè non si comprano titoli greci, come è stato fatto in passato, con le risorse raccolte in Francia o Germania, solo per ottenere un maggior rendimento. La ratio è semplice: l’attività assicurativa classica è quella che in questo momento offre il miglior ritorno sul capitale, per cui i rischi della gestione finanziaria devono essere ridotti al minimo. E così si faranno anche più utili. Se il faro è la focalizzazione sul business assicurativo ne consegue che bisogna dismettere le attività fuori dal core business. Dunque via alla vendita dell’israeliana Migdal e delle attività riassicurative negli Usa, ricerca di un compratore per la Bsi (Banca della svizzera itaiana) che però deve avere un interesse per l’Asia in quanto in quell’area la controllata di Generali ha effettuato parecchi investimenti negli anni passati che porteranno i loro frutti in quelli a venire. Nessuna indicazione, invece, per Banca Generali. Certo, alcuni nodi a un certo punto verranno al pettine. Ben sapendolo, e alla luce delle battaglie che hanno riguardato azionisti e management negli anni passati, Greco ha ordinato alla nuova società di revisione Ernst & Young (nominata dall’assemblea di aprile) una “review” su tutte le poste attive e passive del gruppo per andare a vedere se nella gestione passata possano esservi stati passaggi poco chiari o investimenti in società appartenenti a gruppi considerati vicini ad azionisti o dirigenti. Non è un mistero, per esempio, che nel 2014 scadrà la cosiddetta put a favore della Ppf, la società del finanziere ceco Petr Kellner e che per quella data le Generali potrebbero dover far fronte a un esborso nell’ordine anche di 2,5 miliardi. In passato il management di Generali ha sempre sostenuto di poterlo coprire con risorse generate dal gruppo e senza il ricorso ad apporti esterni, leggi aumento di capitale. Il tema è ovviamente delicato e Greco non si è ancora espresso ufficialmente sul tema ma al momento pare escluso qualsiasi ricorso al mercato, almeno prima del nuovo piano industriale. Tendenzialmente Greco pensa che la piattaforma di business che attraverso la joint venture Generali Ppf dalla Repubblica Ceca si rivolge ai mercati dell’est sia valida ma sia stata poco gestita da Trieste. Dunque occorre prenderla in mano dal punto di vista gestionale e, qualora convenisse, magari anche anticipare l’uscita di Kellner dal gruppo, eliminando il problema alla radice. Una presa di posizione su Generali Ppf si porterà dietro anche gli investimenti in Russia, dove sempre con Kellner la compagnia triestina era entrata nella Ingosstrakh dell’oligarca Oleg Deripaska e aveva partecipato alla privatizzazione della banca di stato Vtb. Inoltre sotto la lente finiranno anche i vari veicoli in cui Generali ha investito nel corso del tempo a fianco di imprenditori che gravitano nell’area del veneto, su cui in passato si sono addossate molte critiche. La review non potrà poi escludere il capitolo partecipazioni. Generali è il primo azionista italiano di Telecom Italia insieme a Mediobanca e Intesa Sanpaolo, un investimento di “sistema” compiuto per evitare che la società cadesse in mani straniere. E Generali nel corso degli ultimi anni non è stata estranea a polemiche per aver sostenuto manager poi finiti nell’occhio del ciclone, come l’ex numero uno di Tim Brasil Luca Luciani. Oggi potremmo essere alla vigilia di nuovi passaggi importanti, con lo scorporo della rete in agenda, il business del mobile ancora in peggioramento e nuove battaglie sotterranee tra il presidente Franco Bernabè e l’ad Marco Patuano. Si vedrà presto, dunque, se Greco riuscirà a risolvere con successo anche questi rapporti difficili che coinvolgono tra l’altro i suoi controllori. Il vero salto di qualità, poi sarebbe quello di dar corso fino in fondo alla delibera del cda Generali del marzo 2011, che in seguito alle pressioni del consigliere Diego Della Valle decise l’eliminazione della definizione di partecipazioni strategiche dal portafoglio del Leone. Ciò significherebbe che le quote racchiuse nei patti Mediobanca, Rcs, Pirelli dovrebbero essere liberate e poi vendute al meglio. Certo, mettere in vendita il 2% della propria storica controllante sarebbe un segnale di grande indipendenza da parte del nuovo management di Trieste. Se a ciò si aggiunge che la stessa piazzetta Cuccia ha in preparazione un nuovo piano industriale in cui prevede l’alleggerimento delle partecipazioni a partire proprio da Generali, c’è da credere che il legame a doppio filo tra le due istituzioni si sta finalmente allentando. Se in un paio d’anni si vedrà una Generali fuori da Telecom e da tutti i patti e partecipata al 10% da Mediobanca il risultato s
arà obbiettivamente notevole. Ma forse questa seconda parte del disegno, l’uscita dai salotti, è più difficile da realizzare della prima, la rivitalizzazione della compagnia. Nella foto grande qui sotto, il presidente delle Assicurazioni Generali, Gabriele Galateri di Genola (a sinistra) insieme all’amministratore delegato dello stesso gruppo, Mario Greco