Angelo Di Mattia

La Cassa Depositi e Prestiti ha rilevato ieri il 100% di Fintecna. Con l’acquisizione, che fa seguito a quella di Sace e Simest, si avvia a conclusione il processo delle previste dismissioni: più fondatamente, un passaggio di partecipazioni da una mano all’altra dello Stato. Con la proprietà della Sace si accresce la competenza della Vigilanza della Banca d’Italia, che fra un po’ sarà estesa, attraverso l’Ivass, anche alle assicurazioni. Sarebbe il momento di separare le partecipazioni detenute dal resto dell’attività della Cdp riconoscendo la natura pienamente bancaria di quest’ultima – non di mero intermediario finanziario – e assoggettandola all’integrale controllo di Bankitalia. C’è poi il problema della conversione in ordinarie delle azioni privilegiate delle 65 Fondazioni partecipanti al capitale della Cdp con il 30%, a fronte del 70 del Tesoro. Sarebbe stato – o sarebbe ancora – saggio rinviare di qualche anno questa decisione in considerazione del momento attraversato dai mercati, dalle fondazioni e dalla finanza pubblica. Comunque, se si condivide che i titoli convertendi siano azioni in pieno, e non affatto titoli obbligazionari, che non vi possa essere una valutazione differenziata a seconda che si tratti di recesso o di conversione, che le previsioni statutarie siano equivoche, ma che comunque non possano confliggere con le norme civilistiche, allora dovrebbe apparire insostenibile la somma di 5 miliardi richiesti dal Tesoro per la conversione. Un accordo, giuridicamente confortato, risulterebbe una via senza alternative. Un generalizzato recesso, infatti, peserebbe non poco. E già altre volte il Tesoro, in confronti giurisdizionali con le fondazioni sorti per l’avventatezza di un cessato ministro, ha finito col soccombere. (riproduzione riservata)